Le reazioni dei vertici dei partiti alla conferenza-stampa della scorsa settimana del Presidente del Consiglio appaiono francamente sconfortanti e dimostrano come all’Italia manchi un vero leader, un politico che abbia la stazza dell’ “uomo di Stato” e sappia cogliere all’istante una postura che sia in grado di generare un campo di forze che vincoli ed orienti i comportamenti dell’intero sistema.
Il fascino della politica ha a che vedere anche con la capacità di leggerne “hic et nunc” gli sviluppi, cioè con la attitudine del vero animale politico a cogliere le finestre temporali di una opportunità transeunte, quasi puntiforme, che gli altri non vedono e dev’essere attinta nella sua immediatezza, prima che l’attimo fuggente evapori e si dissolva, bruciando un’ opportunità che, almeno in quella forma, è destinata a cadere per sempre.
Insomma, nella conferenza-stampa di fine anno, Draghi ha alzato la palla, ma nessuno sembra sia stato in grado di schiacciarla a terra. Tutti temono di essere murati, cosicché la sfera, ricadendo rovinosamente nella propria metà campo, regali un punto all’avversario, premiando la sua inerzia, a dispetto della propria presa di posizione attiva che, al contrario, verrebbe penalizzata. In tal modo, il gioco ristagna, nella misura in cui se c’è un elemento comune a tutte le forze in campo – che così si paralizzano a vicenda – è il fatto che ciascuna giochi per sé, cercando il miglior posizionamento in vista, quando sarà, della corsa elettorale e nessuna, al contrario, stia in partita guardando al bene comune dell’Italia.
Il problema del “settennato”, di per sé evocativo di una prospettiva strategica di medio periodo, viene affogato nell’ orizzonte circoscritto dell’immediata contingenza politica. A dimostrazione della sclerosi cui il maggioritario bipolare ha condannato un sistema decotto e decisamente da trasformare”, passando, anzitutto, ad una legge elettorale proporzionale. Ad oggi, quel tanto di disponibilità che Draghi ha lasciato intendere in modo corretto, nella misura in cui è stata seppellita sotto una coltre di ipocrisia, sembra, almeno per ora, averne indebolite le chances. L’ipocrisia di chi invoca la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi, dichiarando come sia l’unico in grado di assicurare la permanenza e la compattezza dell’attuale maggioranza, fin nella prospettiva della scadenza naturale della legislatura, ma, in effetti, cerca di inchiodarlo fuori campo per lasciare spazio al altre ipotesi quirinalizie. La riconosciuta autorevolezza, l’attitudine di Draghi ad assumere questo ruolo unitivo non dovrebbe, in questo frangente delicato, essere valorizzata ad un più alto livello, assumendola come approdo di riferimento comune della coscienza civile del Paese, nella varietà delle sue componenti politiche e sociali?
Si dice: che ne sarebbe a quel punto del governo, ancora impegnato contro la pandemia e sul fronte del PNRR?
Anche qui Draghi si è espresso correttamente, negando di ritenersi indispensabile, rifiutando di essere trasformato in un “mostro”, nel senso di quel “portento” di competenza che esce dal novero delle persone comuni, dalle comparazioni possibili tra l’uno e l’altro.
In effetti, Draghi al Quirinale rappresenterebbe anche l’occasione perché le forze politiche escano da quella sorta di “camera iperbarica” in cui, in questi mesi, dovrebbero essersi riossigenate, per tornare ad impadronirsi della loro funzione. Dopo di che, se un’altra volta, non fossero in grado … ahimè … cadono le braccia, ma, a tal punto, rischia di non avere torto chi invoca che si chiuda la partita per manifesta incapacità dei contendenti e si vada alle elezioni anticipate.
Ove pure Draghi restasse a Palazzo Chigi, chi potrebbe giurare sul fatto che, via via ci si avvicini all’ appuntamento elettorale, una maggioranza in cui ciascuna forza “marca ad uomo” l’altra, potrebbe reggere, come sta ancora facendo, ma, fin d’ora, sempre più faticosamente?
Auguriamoci che la pausa natalizia e di Capodanno consenta alle forze politiche di decantare, ciascuna, le rispettive posizioni ed alla pubblica opinione di pretendere un confronto quanto più possibile aperto, piuttosto che rattrappito negli antri oscuri di un patteggiamento tra pochi.
Domenico Galbiati