Per cogliere i cambiamenti strutturali di una società bisogna avere lo sguardo lungo verso il passato ed, ad un tempo, verso il futuro. Non volendo esagerare ai fini della nostra odierna riflessione possiamo fissare un punto di partenza alla fine del secondo conflitto mondiale e chiederci: in questi 85 anni cosa è successo, cosa è cambiato? Dunque quale è stata la cifra distintiva del dopoguerra?
Volendo sintetizzare due appaiono le parole chiavi: crescita e distribuzione; crescita economica indotta da una diffusa imprenditorialità ( il Paese dei cento campanili, la stessa riforma agraria al Sud) e distribuzione sociale della ricchezza, una mirabile sintesi tra economica classica (il liberismo) ed economia keynesiana, ispirata o interpretata alla luce della rinnovata dottrina sociale cristiana di Giovanni XXIII e Paolo VI.
Questa sintesi virtuosa, realizzando il più avanzato Stato sociale della storia, ha innescato una violenta reazione di natura ideologica ( guidata dalla Scuola Economica di Chicago ispirata da M. Fridman) e, ad un tempo, economica, sostenuta dai grandi ricompattati interessi capitalisti, che al “grido” “meno Stato più Mercato” hanno teorizzato e realizzato lo smantellamento dello stato sociale keynesiano, a partire dalla politiche neoliberiste del tandem Regan/Thatcher negli anni 80.
Si è così passati, giorno dopo giorno, impercettibilmente ma decisamente da un “motore” crescita/distribuzione ad un nuovo motore consumo/concentrazione. Sì è demonizzato il ruolo dello stato nell’economia e la sua funzione redistributiva; di contro si è esasperata la legge Keynesiana della domanda (consumi) che crea l’offerta, di fatto snaturandola. Parallelamente si è innescato un violento processo di concentrazione produttiva, urbanistica e finanziaria, con effetti devastanti sugli equilibri ecologici e i livelli di vita economici e sociali. Infatti se il reddito si concentra anche la ricchezza si concentra e viceversa, a maggior ragione se lo Stato è costretto ad abdicare, come è successo, alla sua azione distributiva ed attiva. Ma se il reddito si concentra – per mantenere in equilibrio macroeconomico il sistema – occorre finanziare con il credito i consumi e sviluppare parossisticamente le esportazioni.
Senonché la finanziarizzazione dei consumi e le politiche “mercantiliste” hanno dei limiti perché i primi devono essere “pagati”, così come i secondi da parte dei Paesi importatori! La crisi del 2008/2011 e il trumpismo non sono altro che il momento di rottura dell’equilibrio impossibile! Concentrato (finanziariamente, produttivamente e demograficamente), ingiusto e distruttore della natura Questo è il mondo prima del Covid – 19.
Un mondo nel quale l’Italia, per la sproporzione tra la forza delle “istituzioni pubbliche” e il valore del suo territorio in uno con quello del suo sistema produttivo e logistico ha un ruolo implicito: quello di “preda agognata”! Punto di incontro delle scorrerie del capitale finanziario americano nel sistema bancario, nel risparmio gestito, nel mondo delle “sofferenze” e del capitalismo mercantilista franco-tedesco nel sistema industriale e distributivo.
Questa era dunque l’Italia prima del Covid – 19: un campo di battaglia dei processi di concentrazione e privatizzazione estera in un contesto di forte degrado ambientale. Un campo di battaglia nel quale “le truppe grilline”, dopo lo spericolato e nefasto tentativo di “rompere” il sistema con l’azzardata alleanza giallo/verde, stavano ripiegando sotto le bandiere giallo/rosse.
In questo scenario la risposta “politica” alla bufera Covid – 19 in linea di principio è stata adeguata laddove con il lockdown si sono fatte prevalere le ragioni della salute a quelle della produzione, nonostante le pressioni del mondo industriale, in particolare lombardo/veneto ed emiliano.
Anche l’approccio macroeconomico emergenziale ( decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio), una volta assicurata la copertura della BCE per 190 miliardi di acquisti in quota quantitative easing, è stato ragionevole, caratterizzandosi per il più classico degli approcci keynesiani/distributivi: un segnale a tutti per dimostrare che lo Stato c’è, sostenere la domanda, contenere il potenziale conflitto sociale.
E ciò, anche e soprattutto, per “nascondere”, ad un tempo, il significato ideologico implicito nella manovra complessiva, laddove con il ricorso massiccio (almeno sulla carta) alla liquidità garantita tout court dallo Stato abbiamo di fatto affermato che lo Stato può dichiarare default le banche no! Infatti in un mondo a guida politica non finanziaria, lo Stato avrebbe fatto la sua “manovra”, le banche avrebbero fatto le loro scelte per salvare i clienti e con loro se stesse e alla fine lo Stato avrebbe assunto il ruolo di prestatore di ultima istanza o nazionalizzatore. Ed invece no! Lo Stato si sta assumendo un rischio enorme ( fino a 600 miliardi) a fronte di un rischio zero del Sistema Bancario, a conferma di chi veramente comanda.
E siamo ad oggi. Senza ulteriori margini di manovra se non il MES e/o i recovery fund; senza avere la più che ben minima idea di cosa succederà ad ottobre/novembre in termini sanitari. Costretti ad essere ottimisti nella consapevolezza che il Paese non è in grado di reggere un secondo lockdown generalizzato. Di fatto rimuovendo ogni seria riflessione sul rapporto economia/virus, anzi rilanciando approcci neoliberisti di vecchio stampo come il rapporto Colao, che lo stesso Conte ha cercato di seppellire sotto la passerella degli “stati generali”. Ed invece Covid – 19 c’è e ci interroga sul nostro futuro perché con i suoi modi delicati ( oltre 30 mila morti) ci ha detto ciò che non va e che noi sappiamo! Infatti chi e cosa ha colpito Covid – 19 se non le grandi concentrazioni produttive, le grandi conurbazioni urbanistiche, le grandi povertà del mondo, gli ambienti sociali innaturali come le “case di riposo e cura”.
Dunque siamo al cuore del problema: sono gli attuali assetti produttivi/ distributivi iperconcentrati che generano ricchezza ingiustificata, urbanizzazioni non umane, degrado e povertà diffusa. Ma non esiste nessuna legge naturale dell’economia che spinga verso le attuali spaventose concentrazioni che sono il frutto di specifici rapporti di forza che violentano la dinamica delle relazioni economiche.
Due esempi: l’agricoltura e l’energia. Cosa c’è di più naturale del cibo di prossimità! Eppure siamo dominati da una macchina infernale che trasferisce cibo industriale ma anche fresco da un continente ad un altro; una macchina che ci fa accettare l’idea che possano esistere allevamenti di milioni di capi di bestiame che non vedono il sole, non ti vanno la terra, non conosco il movimento! Vogliamo entrare in questi inferni, vogliamo aprire gli occhi e le coscienze? Cosa c’è di più diffusivo, democratico, delle energie rinnovabili, eppure il “sistema” ha fatto passare la logica delle grandi concentrazioni, che negano l’iniziativa imprenditoriale diffusa, tanto che i “privati” possono produrre solo quanto consumano.
Basterebbe riconnettere gli allevamenti e la produzione di energia rinnovabile alla terra, creando distretti produttivi integrati orizzontali, per avviare un cambiamento radicale del sistema, che non potrebbe non passare dalla ristrutturazione del sistema bancario e turistico, oggi iperconcentrati anche al fine di invertire i processi di inurbazione che non vanno dati per scontati e contrastati con originalità, come ad esempio introducendo una relazione tra reddito di cittadinanza e piccoli comuni.
Dunque l’Italia del dopo Covid – 19 non ha bisogno di privatizzazioni e astratte razionalizzazioni ma di destrutturazioni produttive e finanziarie per tornare ad una vera economia sociale di mercato. Questo è l’orizzonte che deve assumere il Paese, la Sicilia.
In questa prospettiva vanno realizzate velocemente due grandi riforme. La prima. L’introduzione del PIL ETICO ( cioè il PIL al netto di tutto ciò che non è intrinsecamente buono, ovviamente in termini squisitamente “laici”) perché emerga la drammatica divaricazione dei due valori. La seconda. Il reddito universale di garanzia che assorba tutte le forme di salvaguardia e sostegno dei redditi ( dal reddito di cittadinanza alla disoccupazione, dalla cassa integrazione alle pensioni di invalidità) nella consapevolezza che il processo di destrutturazione e ripensamento economico connesso al Covid – 19 apre una fase di “distruzione creativa” di schumpeteriana memoria che non va ostacolata ma governata soprattutto nella prospettiva dei più deboli.
Francesco Provinciali