Il 2 giugno a Roma ha dimostrato che la destra italiana non è pronta per governare. Una forza politica con un’aspirazione di guida ben fondata non può non valutare il contesto in cui promuove e organizza un evento come quello messo in scena da Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani.
Le norme di contenimento del Coronavirus, prima tra tutte quella del divieto di assembramento, non erano ufficialmente superate e, proprio, non si capisce perché fosse tanto complicato rinviare di una settimana una manifestazione con alcune, e troppo addossate, centinaia di persone. La destra è scesa in piazza con la pubblica autorità impossibilitata a far rispettare strette norme ancora applicabili a tutti i semplici cittadini, intenzionata a trasformare la celebrazione della Festa della Repubblica in protesta contro le decisioni assunte dal Governo di Roma, al pari di quelle decise in tutto il mondo.
In realtà, molto ci sarebbe da considerare sul significato che a quella celebrazione dà una destra dalle marcate venature post fasciste e dimentica di come il 2 giugno significhi il superamento dello sciagurato ventennio monarchico mussoliniano.
E’ evidente quanto in Italia sia necessario procedere a una “ristrutturazione” del quadro politico nazionale. Manca un centrodestra moderno e realista, concreto e non ideologico. Abbiamo dovuto aspettare ben tre mesi perché appena appena si attenuasse un infruttuoso e persino patetico rilancio di cifre del finanziamento pubblico, al grido “di più, sempre di più”, come se fosse del tutto indifferente la precisazione di un quadro europeo d’intese, tutt’oggi ancora in fase di concretizzazione.
Tre mesi preziosi, chissà quanti ne verranno ancora, persi invece di ricercare davvero i punti su cui sia possibile realizzare una sostanziale unità nazionale. Che non è solo quella della dimensione politico – istituzionale, limitata all’idea di dare corso ad un nuovo esecutivo, cosa oggettivamente non nelle cose. L’unità nazionale dev’essere costruita, in questa direzione credo vada la corretta interpretazione del ripetuto invito del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tenendo adeguatamente conto della dimensione dei problemi da affrontare e restando ciascuno quello che si è. Senza illudersi di spacciare per assodato il fatto che non esistano più differenze tra i partiti e i movimenti presenti sulla scena.
Questa caparbietà tutta italiana nel confondere lo spirito unitario nazionale con l’accordo verticistico delle forze politiche, trasforma l’assunzione di una responsabilità comune verso la cosa pubblica con la più prosaica partecipazione alla gestione della gran mole di risorse che stanno per essere messe in campo per il dopo Coronavirus.
Fino a quando in questo Paese non si giungerà alla definizione di un nuovo spirito collettivo in cui tutti possano ritrovarsi, indipendentemente dalla propria collocazione politica, saremo sempre di fronte al rischio paventato da Aldo Moro di ritrovarci ad affrontare le gravi conseguenze di uno scontro portato alle estreme conseguenze, in Parlamento e nel Paese.
Il 2 giugno a Roma, la destra ha vissuto un televisivo “delirio di onnipotenza”. Su questo farebbe bene a riflettere Silvio Berlusconi di cui si sa dell’immediata preoccupazione espressa dopo aver visto in diretta le immagini provenienti dalla Capitale. Da un pezzo abbiamo dovuto constatare quanto Berlusconi sia oramai rinunciatario verso l’ipotesi di organizzare un centrodestra adeguato a rispondere ai problemi degli italiani, senza finire egemonizzato da una linea priva di sbocchi qual è quella indicata da Matteo Salvini.
Assistiamo all’importante confronto in atto nel mondo dell’economia, della finanza e della comunicazione. Sotto gli occhi di tutto sono le manovre in atto in Generali e Rcs e quelle della ristrutturazione editoriale di Repubblica e della Stampa, ma non sappiamo quanto, dopo l’intercettamento dei finanziamenti annunciati dal Governo all’economia reale, ci si vorrà occupare della partecipazione a un serio riattamento della politica italiana. Le recenti dichiarazioni del neo Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, sembrano più ammiccanti verso una deriva divisiva, anche se c’è da rendersi conto che i problemi del mondo economico italiano sono drammatici.
Le carenze del centrodestra, in cui predominano troppe pulsioni radicali, a scapito della ricerca di un baricentro più equilibrato, fanno il paio con quelle del centrosinistra e del Governo cui esso partecipa con i 5 Stelle. Un “delirio di onnipotenza”, speculare e contrario a quello della destra, sembra pervadere il Pd nonostante le ripetute sconfitte elettorali fin qui registrate
Giuseppe Conte parla di un “rilancio” dell’Italia e sembra prefigurare un’ipotesi globale di rinnovamento del Paese. In realtà, è costretto a muoversi nel recinto fortemente delimitato da quelle condizioni vincolanti in cui fu posto dalle motivazioni e dalle modalità per cui vide la luce il suo secondo esecutivo. Cioè, in un particolare stato di necessità e d’emergenza politica istituzionale.
Noi riteniamo che non siano più procrastinabili i processi di trasformazione richiesti dalle drammatiche condizioni in cui versa il Paese. Essi, però, necessitano di un Parlamento e di un Governo espressione di un riconoscimento pieno, e legittimato da un esplicito voto espresso da almeno da una parte consistente e conseguente degli italiani. Frutto anche dal ritorno al voto di gran parte degli astenuti, richiamati da un autentico intento rinnovatore, reso credibile da alleanze coerenti, necessarie per assicurare la durata di almeno tutta un’intera legislatura. Altrimenti, continueremo a parlare d’intento riformista, ma costretti ad accontentarci dei soliti interventi tampone.
Lo diciamo da quando abbiamo iniziato il cammino verso la creazione di un “nuovo” soggetto politico: nessuna delle forze politiche e degli attuali movimenti ci rappresenta. Come non ci rappresenta questo esecutivo. Un solo esempio su questo punto: se c’è un assente nello scenario di questo Governo è il Terzo Settore. Completamente dimenticato e lasciato al margine delle iniziative avviate per superare le conseguenze sanitarie e sociali del Coronavirus. Le recentissime, tardive dichiarazioni del Ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, non bastano a rassicurare se non giungono fatti concreti. Rischiano solamente di mostrare evidente lo sgarro, senza far contare in un tempestivo rammendo.
Le debolezze dell’attuale maggioranza e dell’esecutivo da essa insediata a Palazzo Chigi, già evidenti prima dello scorso gennaio, sono ulteriormente emerse nel corso della pandemia e con i primi passi intrapresi con gli interventi destinati alla ripresa. Così, nelle condizioni in cui si trova, sembra poco credibile che il Governo Conte 2 sia in grado di avviare un ampio processo di trasformazione, mentre ancora si deve registrare il caos che regna per l’erogazione della cassa integrazione e degli aiuti ai liberi professionisti e a chi è rimasto senza lavoro o con la propria attività chiusa.
Molto dell’impianto istituzionale, in particolare per ciò che riguarda la relazione tra Stato centrale, regioni e comuni si è più che mai rivelato in crisi profonda. Le condizioni del sistema della sanità e della salute pubblica sono state disvelate in modo tanto evidente che neppure vale la pena di tornarci sopra. I provvedimenti di natura finanziaria ed economica sembrano già fortemente condizionate dalla vetustà della struttura burocratica, così come problematica è apparsa la capacità di Inps e Regioni di occuparsi dei sostegni promessi. Per non citare la scarsa attuazione da parte delle banche delle linee guida individuate da Europa e Governo per il sostegno all’impresa. Siamo giunti a ricevere, mi pare da parte di Enrico Letta, il suggerimento che sia l’Europa a trasferire direttamente sui conti degli italiani i soldi stanziati da Bruxelles.
Il Paese ha bisogno di risistemare i punti di snodo fondamentali della vita pubblica. A partire da quelli della formazione e dell’educazione. Il che significa pensare al futuro delle nostre generazioni più giovani nella consapevolezza dell’opportunità che il Paese si apra pienamente all’innovazione e ai mutamenti della produzione e a ciò che fa evolvere la qualità della vita concreta dei cittadini.
Per fare ciò è necessario rivedere la spesa pubblica, compiere delle scelte non limitabili alla condizionante ricerca di equilibri da raggiungere tra interessi consolidati, senza valutare ciò che tra essi resta forza propulsiva e ciò che, invece, è zavorra non più sostenibile. E’ giunto il momento di rivedere le norme sugli appalti, da cui molto dipende la rete d’infrastrutture di cui il Paese ha bisogno e a cui dev’essere assicurata una continua e diffusa manutenzione.
E’ evidente che anche la questione annosa del Debito pubblico, mai risolta da alcun governo succedutosi finora, non possa più essere considerata come fatto in sé e miracolisticamente superabile senza considerarla all’interno di un organico Piano strategico di ripresa nazionale.
Si potrebbe continuare con un lungo elenco di altre cose che devono riguardare la famiglia, il sostegno alla Vita, che per noi va dal concepimento alla sua naturale conclusione, le autonomie locali e il ruolo da dare al naturale organizzarsi della società e delle sue componenti vitali.
Credo che il vero punto da chiarire, oggi, da parte del Governo, della maggioranza e dell’opposizione, sia la loro dislocazione attorno ai punti cruciali cui è legato il futuro del Paese e alla loro capacità di delinearne efficaci soluzioni su diversi piani istituzionali e temporali. Uno è quello del presente, con la possibilità di un’operatività molto limitata. L’altro, è quello delle prospettive di cui devono farsi carico un nuovo Parlamento e nuove forze. Quelle davvero intenzionate ad aprire la stagione di una Seconda Repubblica de-ideologizzata, in cui la politica sia parte preminente, ma non assoluta, e quindi consapevole della necessità di assicurare la piena partecipazione da parte dell’intero corpo civile e sociale.
Per fare ciò è necessario passare attraverso il varo di una riforma elettorale il cui primo obiettivo sia la ricostituzione del rapporto tra territori e centri di rappresentanza e di capacità decisionale e tra eletti e elettori. Noi da tempo auspichiamo un sistema proporzionale attraverso cui sia possibile definire il vero campo di confronto, che è soprattutto sociale, e la riscoperta della Politica la quale, assieme allo scontro, metta in campo anche lo spirito di coalizione, attraverso cui sia possibile dare vita a una intera legislatura da trasformare in una vera e propria fase costituente e rigenerativa del Paese.
Giancarlo Infante