Il dibattito parlamentare di ieri è servito almeno a scoprire,, ufficialmente, cosa c’è stato alla base della decisione del Governo di Giorgia Meloni di disattendere l’ordine d’arresto emanato contro il generale libico Almasri dalla Corte penale internazionale. La decisione è stata del tutto politica.
Si trattava di evitare le ritorsioni probabilmente in arrivo in Libia contro i circa 1500 italiani che vi vivono. Sorvolato tutto ciò che riguarda gli ingenti interessi petroliferi che l’Eni ha nel paese nordafricano.
Le opposizioni hanno avuto facile gioco nel rilevare le incongruenze, le contraddizioni e i ritardi con cui si è smesso di parlare d’altro e ci si è decisi a scegliere d’ingoiare la liberazione di uno dei più grandi trafficanti d’uomini, quelli contro cui Giorgia Meloni aveva promesso una guerra a 360 gradi su tutto il “l’Orbe terraqueo”.
Scelta non facile, gestita male e che, soprattutto, ci trova tra i violatori del Diritto internazionale e del rispetto della Corte penale internazionale per le cui decisioni invece ci siamo battuti a spada tratta in altre occasioni, come quelle di Milosevic ed altri responsabili di gravi crimini contro l’umanità.
La pessima gestione di questa vicenda, per la quale Giorgia Meloni, come le capita spesso, non ha ritenuto opportuno mostrare quella “virilità” politica che diffonde a piene mani in altre occasioni, è emersa in piena evidenza.
Sorvoliamo su molto di quello che abbiamo ascoltato da parte di chi il Diritto dovrebbe pure conoscerlo e che, non si sa quanto involontariamente, ha finito per trasformarsi, invece, quasi in difensore d’ufficio del generale lasciato fuggire in pompa magna. E pensare che, ancora una volta, se n’è sottolineata la pericolosità in barba al dispositivo d’arresto della Corte penale cui pure si fa, contemporaneamente, riferimento in materia. Ma, intanto, la si contesta nei fatti e nella sostanza senza l’ausilio di alcun appiglio giuridico per disattenderla.
Da sempre la politica si trova a doversi piegare alla forza maggiore e alla ricerca del male minore. Probabilmente, però, come accaduto nel passato, e come accade in altri paesi civili, se davvero ci sono in ballo gli interessi vitali del Paese, i veri uomini di stato condividono queste preoccupazione, prima, con il resto dei rappresentati del Parlamento e, poi, con chiarezza ed umiltà di fronte all’intera comunità nazionale. In fondo, lo si era fatto un mese fa nel caso dello scambio con l’Iran per Cecilia Sala, su cui si è registrata una generale condivisione.
C’è da chiedersi se in questo caso il tutto dipenda dal “marcio”, che non è solo in Danimarca come dice Amleto, sottostante la gestione dell’accordo con la Libia sui migranti. Forse un marcio tanto nauseabondo che il primo istinto è quello di non toccare… il coperchio.