Ripete più volte quell’affermazione che Papa Francesco aveva fatto risuonare nella memorabile preghiera pubblica in piazza San Pietro, il 27 marzo scorso: «Siamo tutti sulla stessa barca». Slavoj Žižek, filosofo, intellettuale poliedrico e conosciuto per i suoi richiami marxisti, inframmezzati da forti debiti con Jacques Lacan, non ha dubbi: «Adesso
siamo tutti sulla stessa barca». Lo ribadisce almeno tre volte nel suo recentissimo volume Pandemic! Covid-19 Shakes The World (OrBooks, New York – Londra), appena pubblicato, di cui (per gentile concessione dell’editore) pubblichiamo qui uno stralcio in nostra traduzione.

Ed è una situazione precisamente cristiana, questa della sofferenza comune, secondo il pensatore sloveno. Facendo eco a Catherine Malabou, Žižek scrive che «una sospensione della socialità è qualche volta il solo accesso all’alterità, un modo per sentire vicine tutte le persone isolate sulla Terra. Questa è la ragione perché sto cercando di essere solidale per quanto possibile nella mia solitudine. E questa è un’idea profondamente cristiana: quando mi sento solo, abbandonato da Dio, in quel momento sono come Cristo sulla croce, in piena solidarietà con lui».

Il filosofo sloveno, che non ha remore nell’autopresentarsi come «un ateo cristiano» — famosi i suoi testi su san Paolo e la teologia, scritti insieme al teologo anglicano John Milbank e pubblicati in Italia da Transeuropa — nota come il sorgere del Coronavirus abbia funzionato come amplificatore di alcune tendenze positive e altre negative della nostra società. Sul fronte negativo, «l’attuale diffusione dell’epidemia di Coronavirus ha portato ad una altrettanto vasta epidemia di virus ideologici che erano dormienti nella nostra società: fake news, teorie cospiratorie paranoiche, esplosioni di razzismo». Ma anche, e soprattutto, tanta, tanta solidarietà. Slavoj Žižek ne è convinto, e usa un termine a lui caro — un nuovo «comunismo» — per identificare le possibilità di bene che possono sorgere dalle conseguenze della pandemia: «Non mi riferisco ad un’idealizzata solidarietà tra le persone: al contrario, la crisi attuale dimostra chiaramente come la solidarietà e la cooperazione globali sono nell’interesse della sopravvivenza di tutti e di ciascuno di noi, come esse siano la sola scelta razionale ed egoistica da fare». La pandemia ci ha convinto di una questione, ahimè, troppo dimenticata: «Il nostro principio fondamentale non dovrebbe consistere nell’economizzare l’assistenza, ma assistere tutti coloro che ne hanno bisogno, in maniera incondizionata, senza guardare in faccia i costi».

Ricordando anche che «le decisioni sulla solidarietà sono eminentemente politiche». Il mondo consumistico tipico del capitalismo globalizzato, afferma Žižek, sta subendo gravi colpi. E il pensatore di Lubiana sintetizza questa sconfitta identificandola in alcuni simboli: «I parchi divertimenti si stanno trasformando in città fantasma: perfetto, non posso immaginare un luogo stupido e più noioso di Disneyland. La produzione di automobili è seriamente colpita: bene, questo ci costringerà a pensare ad alternative alla nostra ossessione di veicoli individuali. La lista potrebbe continuare».

Di fronte a quanti cercano (ancora) un capro espiatorio nei migranti che provano ad attraccare in Europa, Žižek ha parole sferzanti: «È difficile capire il loro livello di disperazione se un territorio messo in quarantena da un’epidemia è ancora una destinazione attraente per loro?». E anche rispetto ad un’altra categoria di quella «cultura dello scarto» che Francesco ha varie volte stigmatizzato — gli anziani — Žižek ha parole quanto mai decise, che fanno riferimento a quel «nuovo barbarismo» cui fa cenno nel testo che presentiamo qui. L’annotazione riguarda le decisioni sanitarie per cui si sarebbero lasciati morire le persone più in là con gli anni, considerandole sacrificabili: «La sola altra
occasione in tempi recenti in cui è stato assunto un approccio simile, a mia conoscenza, è stato negli ultimi anni del regime di Ceauşescu in Romania, quando le persone anziane semplicemente non venivano accettate in ospedale, qualunque fosse il loro stato, perché venivano considerate di nessun utilizzo per la società».

Lorenzo Fazzini

La vicinanza è nei nostri occhi «Non toccarmi»: questo, secondo il vangelo di Giovanni (20, 17), fu ciò che Gesù disse a Maria Maddalena quando questa lo riconobbe dopo la risurrezione. In che modo io, che sono notoriamente un ateo cristiano, comprendo queste parole? Per prima cosa, le metto insieme alla risposta di Cristo alla domanda dei suoi discepoli riguardo al modo in cui conosceremo il fatto che lui tornerà, una volta risorto. Cristo dice che egli sarà presente se ci sarà amore tra coloro che credono in lui. Egli non sarà presente come una persona da toccare ma come un legame di amore e solidarietà tra le persone. Così, quando dice «Non toccarmi», è come se dicesse: «Non toccarmi, tocca e abbi a che fare con le altre persone in spirito di amore».

Oggi, comunque, in mezzo alla pandemia da Coronavirus, siamo tutti bombardati appunto dalle richieste di non toccare gli altri, anzi di isolarci per mantenere una giusta distanza corporea. Cosa significa questa ingiunzione, «Non toccarmi», in una situazione simile? Le mani non possono raggiungere l’altra persona; è solo dall’interno che
possiamo approcciarci all’altro. E la finestra di questo «dentro» sono i nostri occhi. Questi giorni, quando incontriamo qualcuno a noi vicino (ma anche un estraneo) e manteniamo una giusta distanza, uno sguardo profondo negli occhi dell’altro può dischiudere molto più di un approccio fisico intimo. In uno dei suoi frammenti giovanili, Hegel scrisse: «L’amato non è opposto a noi, egli è uno con il nostro proprio essere; noi vediamo noi stessi in lui, ma ancora una volta egli non è più solo un “noi” — è un enigma, un miracolo, qualcosa che non possiamo raggiungere».

È cruciale non leggere queste due affermazioni come opposte, come se l’amato fosse parzialmente un «noi», una parte di me stesso, e parzialmente un enigma. Non è forse il miracolo dell’amore il fatto che tu sei parte della mia identità precisamente fino a quando tu rimani un miracolo che non posso raggiungere, un enigma non solo per me ma anche per te stesso? Cito un altro passaggio molto noto del giovane Hegel: «L’essere umano è questa notte, questo vuoto nulla, che contiene ogni cosa nella sua semplicità — una ricchezza infinita di molte rappresentazioni, immagini delle quali nessuna appartiene a lui e che non sono presenti. Una persona coglie una visione di questa notte quando guarda gli esseri umani negli occhi».

Nessun Coronavirus può privarci di tutto questo. Per tale motivo abbiamo la speranza che il distanziamento corporeo rafforzerà l’intensità del nostro legame con gli altri. È proprio adesso, nel momento in cui devo evitare molti di coloro che mi sono cari, che sperimento pienamente la loro presenza e la loro importanza per me. Posso sentire già nelle mie orecchie la risata del cinico, a questo punto: “Ok, forse vivremo momenti di prossimità spirituale, ma in che modo questo ci aiuterà ad affrontare la catastrofe che stiamo vivendo?”, “Impareremo qualcosa da tutto questo?”

Hegel scrisse che tutto quello che possiamo imparare dalla storia è il fatto che non impariamo niente da essa, per questo dubito che l’epidemia renderà qualcuno di noi più saggio. La sola cosa chiara è il fatto che il virus manderà in frantumi le nostre esistenze fin dalle loro fondamenta, causando non solo un’immensa quantità di dolore ma anche un caos economico peggiore persino della grande depressione. Non esiste un «ritorno alla normalità», la nuova «normalità» dovrà essere costruita sulle rovine delle nostre vecchie esistenze, o ci troveremo immersi in un nuovo barbarismo i cui segnali sono già chiaramente intuibili adesso. Non è abbastanza affrontare l’epidemia come un accidente sfortunato, far fronte alle sue svariate conseguenze e ritornare ai modi tranquilli con cui un tempo facevamo le cose, magari con qualche aggiustamento nel nostro settore sanitario.

Dobbiamo sollevare la domanda-chiave: cosa è andato storto nel nostro sistema al punto che siamo stati colti impreparati da una catastrofe sebbene gli scienziati ci avessero da anni avvertiti della sua possibilità se non
probabilità? (traduzione di Lorenzo Fazzini)

Slavoj Žižek

Pubblicato su www.vaticannews.va

About Author