«Il più grande distruttore della pace oggi è il crimine contro l’innocente bambino non nato». Quando Madre Teresa di Calcutta pronunciò queste parole ricevendo il Nobel nel 1979, molti le considerarono un’eccessiva semplificazione. Quarant’anni dopo, quella profezia si rivela di una lucidità sconcertante.

L’Italia e l’Occidente vivono un paradosso: mai come oggi abbiamo celebrato i diritti individuali, e mai come oggi la pace sociale appare fragile. Il collegamento non è casuale. La “mentalità radicale” dominante – che proclama l’autodeterminazione assoluta come valore supremo – sta inconsapevolmente minando le basi stesse della convivenza pacifica. Dall’Io sovrano al noi smarrito Il pensiero radicale, nella sua versione contemporanea, insegna che ognuno è padrone di sé fino all’estremo: del proprio corpo, della propria vita, della propria identità. Un’idea seducente, ma che contiene un veleno: se io sono l’unico arbitro del mio valore, allora l’altro esiste solo in funzione dei miei desideri.

Il malato terminale, il bambino nel grembo materno, l’anziano non autosuWiciente diventano “problemi” da risolvere, non persone da accompagnare. Madre Teresa lo aveva compreso: «Se una madre può uccidere il suo proprio bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e te di uccidere me? Non c’è più alcun ostacolo». Non si tratta di un’esagerazione retorica, ma della logica conseguenza di un’antropologia che ha smarrito il senso del limite. La pace è figlia della vulnerabilità accolta La pace non è semplicemente assenza di guerra. È il frutto di una cultura che riconosce nella vulnerabilità non un difetto da eliminare, ma un legame che ci unisce.

Come ricordava il filosofo Antonio Rosmini, la persona non è un oggetto di cui disporre, ma un “diritto sussistente” – la sua dignità è costitutiva del suo stesso esistere. Quando una società legalizza l’aborto come soluzione e considera l’eutanasia un “diritto”, compie un passaggio cruciale: smette di vedere i suoi membri più fragili come un dono e comincia a considerarli un peso. È il primo passo verso quella “cultura dello scarto” che Papa Francesco indica come radice di ogni ingiustizia. I sondaggi e il sonno della ragione.

I recenti sondaggi che mostrano una maggioranza di italiani favorevole al suicidio assistito non sono solo un dato statistico. Sono il termometro di un malessere più profondo: l’incapacità di dare senso alla soWerenza, alla fragilità, al limite. La risposta non è il giudizio morale, ma l’oWerta di alternative concrete: cure palliative diWuse, sostegno alle famiglie, reti di prossimità. Costruttori di pace sono i custodi della vita Una cultura favorevole alla pace inizia dunque dal ripudio di ogni guerra, ma non si esaurisce lì. Deve radicarsi in una rinnovata alleanza tra generazioni, in un linguaggio che non umili i deboli, in politiche che non lascino indietro nessuno.

Come diceva Madre Teresa: «Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno». Costruire pace oggi significa avere il coraggio di essere controcorrente: proteggere ogni vita, soprattutto la più indifesa, non perché sia “produttiva” o “desiderata”, ma semplicemente perché è. Forse la pace più radicale è proprio questa: imparare di nuovo a chinarsi sull’altro non per calcolo, ma per quel dovere di cura che fa di noi una comunità degna di questo nome.

Rosario Nicola Di Stefano

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