Una volta in Italia arrivavano ingegneri da molti paesi per studiare come si sfruttava l’acqua per produrre energia. Per anni l’idroelettrico italiano con invasi e dighe è stato preso a modello ed è passato alla storia come volano di sviluppo e di occupazione. E’ cresciuto nel sistema energetico italiano, ma non al punto da equilibrare i fabbisogni di elettricità per famiglie e imprese. Del resto, è un fatto che le centrali di produzione siano ancora quasi tutte ubicate nelle Regioni del Nord, pur contribuendo egualmente al 40% di produzione elettrica nazionale da fonti rinnovabili.
Parliamo di una fonte programmabile, pulita e con costi di produzione contenuti. Cittadini e imprese potrebbero godere della maggiore produzione e di tariffe al ribasso, se il Governo investisse di più. Se le concessioni per le centrali avessero meno passaggi burocratici. Le concessioni italiane da tempo sono nel mirino di società straniere. Una volta tanto, pero’, a difendere l’autonomia delle imprese italiane (oltre che le loro capacità imprenditoriali) non si commette peccato.
Nel 2023 le centrali hanno generato valore per 2 miliardi di euro, impiegando 12.000 lavoratori. Il governo ha avviato l’iter per le nuove assegnazioni, ma i tempi non convincono. Tuttavia non ci sono solo i tempi nel cuore del Manifesto “Uniti per l’idroelettrico italiano”, firmato da decine di associazioni di categoria. Il titolo dice tutto, giacché, come capita sempre, l’interlocutore è la politica.
La premier Giorgia Meloni nell’ultima settimana è stata in visita nei paesi produttori di petrolio, che con la decarbonizzazione non ci vanno molto d’accordo. Il Manifesto-appello italiano fa, invece, appello proprio alla decarbonizzazione del sistema italiano e chiede alla politica di intervenire. E’ detto in modo esplicito che nella gestione delle centrali non bisogna consentire la “partecipazione degli operatori di Paesi che non presentano reali condizioni di apertura e di accesso al mercato paragonabili a quelle italiane”. Gli unici che possono garantire continuità e soldi freschi sono gli italiani. Sembra strano che l’esecutivo non lo abbia ancora preso in grande considerazione, ancorchè sostenga il Made in Italy.
Il Manifesto si inserisce nel dibattito sulle prossime mosse di governo e Parlamento in tema di energia e di contrasto ai rincari. Le imprese sono sul piede di guerra contro i costi crescenti e la perdita di competitività. L’idroelettrico va messo in secondo piano ? Ci vogliono subito interventi normativi efficaci, è la tesi più accreditata, da collegare al potenziale di 15 miliardi di euro di nuovi investimenti. Siamo pratici. Chi può dire se, come e quando un potenziale concessionario straniero di una centrale farà gli stessi investimenti in Italia? Magari anche di più, ma la storia ci dice che le strategie e i piani industriali in campo energetico sono i più instabili del mondo.
E’ ,comunque, una cambiale in bianco quella che gli industriali italiani dicono di essere pronti a firmare. Perché, allora, non approfittare di questo manifesto cosi’ “patriottico” per spalancare le porte ai nuovi investimenti in un settore tanto strategico? Sarebbe un bel segnale.
Nunzio Ingiusto