Ci auguriamo che il Governo prenda chiaramente posizione, con la necessaria franchezza, senza alcuna indulgenza, contro la decisione della Turchia di Erdogan di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, che condanna la violenza contro le donne.

Non si limiti il Governo ad una formale disapprovazione, ma, attraverso le vie diplomatiche, esprima, con tutti i crismi dell’ufficialità, il nostro sconcerto.

Lo stesso Parlamento del nostro Paese – e sarebbe l’occasione di una presa di posizione unitaria, segno di una maturità civile, che sa andare oltre ogni controversia politica – riteniamo debba esprimere la propria ferma condanna nei confronti del regime di Ankara.

Invocare, come fa Erdogan, a sostegno di tale ritrattazione, la difesa dei valori della famiglia tradizionale – evidentemente secondo la concezione cui si rifà il Governo turco, ed alla quale per prime, si oppongono le stesse organizzazioni delle donne islamiche – è un gesto di gravità inaudita ed, anzi, provocatorio nei confronti di tutti i Paesi del Consiglio d’Europa.

Varata da quest’ultimo nell’aprile 2011, la Convenzione esplica i suoi effetti giuridici, vincolanti per tutti i Paesi membri, dall’agosto 2014, dopo essere stata adottata dal numero prescritto dei Paesi membri.

Effetti giuridici  dei quali Erdogan vuole evidentemente  liberarsi.

Osserviamo, altresì, che stiamo entrando in un momento storico di tale stretta e crescente interdipendenza tra Stati, da esigere che, nelle relazioni internazionali, venga superata la logica di una “real politic” determinata e sorretta dalla salvaguardia degli interessi legati all’interscambio commerciale, a favore di un indirizzo, che sia, al contrario, commisurato ai criteri che i diversi Paesi assumono sul piano della difesa o meno dei diritti umani.

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