In questi giorni di profondo smarrimento dove tutto sembra appeso a bollettini medico-sanitari annunciati mai come definitivi e accompagnati da un senso di attesa di quello che potrà essere il giorno successivo, proviamo, come esercizio di cristiana Speranza, ad analizzare uno degli aspetti che più sgomenta tanti di noi oggi: la vita “ingabbiata” delle nostre famiglie.

Quando nei molteplici dibattiti, anche politici, si è parlato della famiglia, in qualche modo il nodo cruciale era sempre lo stesso, cioè la poca considerazione da parte delle Istituzioni nei suoi confronti.

Ma nella sua accezione più alta la famiglia è il Luogo dove si costruiscono le fondamenta della vita spirituale, personale e sociale futura di ogni individuo. Se leggiamo la nostra Costituzione troviamo appunto nella famiglia quel contenitore dove si riconoscono i  suoi diritti, definita società naturale fondata sul matrimonio(art.29).

Oggi, allo stato dei fatti, all’insorgere di questa pandemia, sperimentiamo come  il tema  famiglia sia entrato con forza nel dibattito pubblico ed è naturale che sia così. Nel momento in cui il governo, nelle sue declinazioni istituzionali, deve fare i conti con la sanità, le imprese, la scuola, la libertà negata, tutto  ruota intorno alla famiglia, protagonista in assoluto.

Ma se andiamo a riprendere uno dei tanti significati che la Dottrina sociale della Chiesa muove in suo favore, scopriamo nella sua definizione di Famiglia come Chiesa domestica, una dimensione spirituale e  relazionale importantissima che oggi potrebbe risuonare in noi come una profezia, annunciata già ai tempi delle prime comunità cristiane  e da recuperare ora come fonte che ci conforta e ci viene in aiuto, considerata la solitudine che oggi sperimentano le tante famiglie costrette a vivere situazioni inedite, come  il non poter “accompagnare” un proprio caro ricoverato in punto di morte o vivere un lutto, senza nemmeno il conforto eucaristico.

La famiglia è considerata una ” chiesa domestica “(Lumen Gentium) perchè gli stessi sposi sono ministri di Dio e significano la propria casa dove lo stesso Dio prende dimora. Ma come ci ricorda Mons. Ravasi, già lo stesso  Paolo nella lettera ai Romani scriveva «Salutate la Chiesa che si riunisce nella loro casa»  facendo riferimento allo kat’ oikon ekklesía “Chiesa domestica”, ove si radunavano appunto i cristiani per celebrare l’ Eucaristia.

Dunque la famiglia cristiana è piccola Chiesa, luogo dell’annuncio, quando come in questi giorni, riuniti per necessità, leggono o ascoltano la Parola attraverso i media e ne diventano a loro volta divulgatori. Ma la famiglia è luogo di testimonianza di fede, e anche in questo caso vediamo continuamente, attraverso appuntamenti di preghiera, come le famiglie nelle proprie case si attivano su WhatsApp o accendendo il televisore, partecipano alle tante celebrazioni eucaristiche, con la possibilità di seguire in TV lo stesso Papa Francesco che ogni mattina celebra a Santa Marta.

Dunque anche in tempo di crisi, dove le chiese sono state chiuse, dove non è possibile vivere in presenza una celebrazione (tranne care eccezioni e con la distanza prevista), dove non è possibile piangere anche i nostri cari defunti, i Media vengono in aiuto facendoci comprendere che questo è anche  il tempo di “Ritrovare il Tempo” con la T maiuscola. Dove? Nelle nostre famiglie, nelle nostre case, luoghi che da troppo tempo erano diventati un deserto, ma che “grazie” a questo fermo-immagine, possiamo ritornare a viverlo come il luogo dell’incontro, del vivere in presenza. Credenti e non credenti.

Allora proviamo a considerare che questa calamità del Covid-19 possiamo viverla trasformando in opportunità ciò che agli occhi del mondo potrebbe essere solo una catastrofe.

Se le chiese sono ora  chiuse, abbiamo aperto quelle domestiche, nel senso che finalmente cominciamo a muovere i primi passi nel percepire l’importanza di essere laici in uscita e come famiglie, tante chiese accoglienti e in dialogo orante, per nulla ingabbiate. Saranno piccoli cenacoli abitati da un quotidiano surreale, da nonni isolati che vorrebbero abbracciare i propri nipoti, da giovani genitori impazziti nel dover aiutare i propri figli a fare i compiti, da figli adolescenti che si inventano una palestra nella propria stanza. Ma la bellezza è che comunque tutte queste piccole chiese domestiche  hanno il Signore che le abita e le sostiene, pietre vive, che in tempo di coronavirus, riscoprono la forza dell’unità nello smarrimento collettivo e dove il collante è il riflettere insieme e pregare nei modi più diversi, come lo Spirito suscita. Leggiamolo questo segno dei tempi al di là di ogni naturale timore, dando ragione alla Speranza che è dentro di noi e che ci spinge a guardare oltre questo tempo e questo virus. Sarebbe bello che quest’anno la Via Crucis fosse trasmessa dalle case delle tante famiglie. Ogni famiglia diventerebbe testimonianza viva di una stazione, raccontando la propria storia che  diventa annuncio  di un Dio che ha ridato senso al non senso, ha superato la morte pur dovendo morire. E come accade in tante famiglie in questo periodo, l’attesa della rinascita, della fine di questo diabolico tunnel, sarà il risorgere a vita nuova.

“Niente sarà più come prima”.

Eleonora Mosti

 

 

 

 

About Author