In Toscana il festival dell’economia e spiritualità riflette su ‘capitalismo come religione’
Da oggi, sabato 23 novembre, a domenica 1 dicembre si svolgerà il Festival di Economia e Spiritualità in alcune città della Toscana (per il programma completo CLICCA QUI ) con la partecipazione di John Milbank, Ugo Morelli, Leonardo Becchetti, Marilisa Palumbo, David Riondino, Massimo Faggioli, Madre Noemi Scarpa, Domenico Iannacone, Massimiliano Valerii, Stefano Zamagni, Luigi De Vecchi, Davide Rondoni, Mauro Magatti, Emanuela Buccioni.
Il Festival di Economia e Spiritualità è un festival che insiste sul collegamento tra economia e spiritualità, due ambiti che per abitudine e prassi storica abbiamo divaricato, reso terre straniere. C’è invece una sacralità nella loro messa insieme, nell’unione di una propensione al bene comune. La nona edizione sarà incentrata su un tema che pensiamo decisivo: ‘Capitalismo come religione’. Un argomento nato da una intuizione del prof. Luigino Bruni:
“Il capitalismo, sul crepuscolo degli dèi tradizionali, è di fatto diventato la sola vera ‘religione’ popolare del XXI secolo. La forza culturale del capitalismo sta proprio nel suo essere una ‘esperienza’ globale, un culto, una cultura onnicomprensiva e avvolgente.
E’ nella sua dimensione di sola prassi quotidiana che il capitalismo trae la sua forza, perché crea e rafforza la sua cultura alimentandosi nel culto quotidiano di miliardi di persone. Ma da tutto ciò deriva anche una conseguenza molto interessante: per superare la religione/idolatria capitalistica oggi occorrono nuove prassi, nuove esperienze. Non basta scrivere libri e articoli, non è sufficiente costruire teorie, perché anche la nuova cultura economica (che in tanti vogliamo più umana, più inclusiva, circolare) nascerà dalla prassi e dal pane quotidiano”.
Presentando quest’edizione del festival il prof. Bruni ha sottolineato il modo in cui il capitalismo è diventato una ‘religione’:“La prima virtù del mercato capitalistico, che gli ha consentito di diventare un vero e proprio culto globale, è la sua capacità di esprimersi in pratiche quotidiane nella vita della gente. Il capitalismo, sul crepuscolo degli dèi tradizionali, è infatti diventato la sola vera ‘religione’ popolare del XXI secolo. La forza culturale del capitalismo sta proprio nel suo essere una ‘esperienza’ globale, un culto, una cultura onnicomprensiva e avvolgente, il primo populismo moderno lo ha inventato il capitalismo”.
Nella prosecuzione dell’analisi il prof. Bruni ha sottolineato che il capitalismo è un culto: “E’ nella sua dimensione di sola prassi quotidiana che il capitalismo trae la sua forza, perché crea e rafforza la sua cultura alimentandosi nel culto quotidiano di miliardi di persone. Ecco perché è diventato «il» culto universale e globale, che può solo crescere e rafforzarsi nei prossimi decenni.
Se guardiamo bene il nostro secolo ci accorgiamo che il capitalismo è un insieme di pratiche quotidiane reiterate di culti di acquisto, vendita, investimenti. Anche nelle imprese, che nel Novecento erano in genere pensate e vissute sul modello della ‘comunità’ sta crescendo la stessa cultura commerciale. Dal modello comunitario tipico del XIX e XX secolo siamo infatti passati progressivamente all’impresa-mercato, che oggi domina indisturbata la scena”.
In questo modo il capitalismo diventa culto: “Ed è in questi culti e in queste pratiche reiterate che si alimenta la cultura-religione del capitalismo. Perché, secondo Pavel Florenskij, ‘il contenuto mistico-religioso dei concetti non si rivela nel pensiero astratto ma nell’esperienza’. Infatti, la prima realtà di ogni religione, compresa quella cristiana, non sono i dogmi e nemmeno i miti, ma il culto, ovvero una realtà concreta e feriale. Mito e dogma sono astrazioni, teorie, che vengono dopo. Come il cristianesimo pre-moderno era essenzialmente una prassi nell’Europa medioevale, anche il capitalismo del nostro tempo è un insieme di pratiche.
Per questa sua natura pratico-cultuale, ad esempio, i filosofi e i teologi fanno molta fatica a comprendere il capitalismo del nostro tempo, e sbagliano spesso le loro analisi. Ma da tutto ciò deriva anche una conseguenza molto interessante: per superare la religione/idolatria capitalistica oggi occorrono nuove prassi, nuove esperienze. Non basta scrivere libri e articoli, non è sufficiente costruire teorie, perché anche la nuova cultura economica (che in tanti vogliamo più umana, più inclusiva, circolare) nascerà dalla prassi e dal pane quotidiano”.