Continua la difficile navigazione del Governo Conte bis fra fibrillazioni interne, moniti allarmati di Confindustria e sindacati, richiami presidenziali (di difficile interpretazione, ma comunque poco ascoltati), articoli di stampa ogni giorno più corrosivi (vedi Sergio Rizzo su Repubblica del 4 maggio), incipienti – e assai rischiosi – appuntamenti europei e una crisi economica e sociale che potrebbe anche far tornare nelle piazze (con le dovute cautele) chi – finora, senza disturbare il manovratore – si è disciplinatamente assoggettato alla eccezionale normazione anti-covid.

Il Presidente Conte ritiene, e altri con lui, che il Manovratore debba essere lasciato libero di manovrare: è insediato a Palazzo Chigi e quindi ha investitura e legittimità sufficienti a proseguire il suo percorso anche oltre la fase dell’emergenza. Ritiene, altresì, che tutti coloro che (dentro e fuori la sua maggioranza) oggi esprimono dissensi o dubbi, possano essere bollati con il marchio dispregiativo di “manovratori (m minuscola) di palazzo”. Cioè niente altro che personale della “vecchia” politica che fanno prevalere interessi personali sull’interesse generale e sui doveri di servizio.

Mentre su questo punto noi – che coltiviamo un’idea non estemporanea e strumentale della funzione politica – non possiamo che concordare con il Presidente e nutrire quindi il più forte sospetto verso i manovratori di ogni sorta, allo stesso tempo rimaniamo con tutti i nostri dubbi non risolti circa il peso che analoga preoccupazione non stia influenzando le scelte (e anche i comportamenti) del Conte stesso, segnatamente del Conte delle ultime esternazioni. In tutta sincerità, è difficile non registrare – su questo punto – i dubbi maliziosamente esposti di recente da Pierferdinando Casini.

Si dirà “nulla di nuovo sotto il cielo”.

A me sembra che i “dissidenti” interni alla maggioranza non facciano altro che cercare affannosamente di conciliare sostegno al Governo e salvaguardia di un profilo di ragionevolezza. Soprattutto nei momenti in cui il Governo (o meglio, il Presidente e il suo Portavoce) fanno qualche passo falso. Svolgendo, per questa via, una funzione essenziale di rafforzamento dell’immagine del Governo stesso, altrimenti ancora più traballante. Cosa si pretenderebbe che facesse Renzi dopo un ennesimo messaggio presidenziale politicamente “sgrammaticato” come l’ultimo a reti unificate? Ammirevole per la sua lealtà, certo, ma anche sospettabile di appannamento del senso di realtà il comportamento di un partito come il PD (aduso al governo della cosa pubblica) di fronte ad annunci mirabolanti di leve di 400 miliardi (!) a disposizione delle imprese.

Insomma, pretendere che dietro la debordante figura monocratica del Presidente scompaia tutta la dialettica e il raziocinio politico – in un Paese come l’Italia, poi – sembra davvero troppo.

Segnaliamo infine che in tutto questo bailamme, ciò che sembra distante dal copione a cui siamo abituati è il comportamento delle espressioni parlamentari e politiche dell’opposizione. Anche qui, assumendo il più possibile il punto di vista dell’osservatore distaccato, è difficile riconoscere nel Salvini della intervista al Sole 24 ore del 3 maggio lo stesso efficace agitatore di piazze mediatiche e fisiche che pure abbiamo visto in tante altre occasioni. Forse preoccupato dal nuovo vitalismo berlusconiano, sembra quasi voler contendere a FI i consensi liberali e moderati: parla fondamentalmente di sussidiarietà e di stato di diritto. Anche la Meloni non risulta che intenda cogliere al balzo una ghiotta occasione come questa per mettere in discussione gli assetti democratici della Repubblica riprendendo l’eredità del generale De Lorenzo. Francamente, a giudicare dalle sue apparizioni televisive, la immaginiamo intenta piuttosto a studiare scadenzari fiscali e moduli per la richiesta di contributi a fondo perduto.

Insomma, le condizioni perché un’opposizione malata di sovversivismo – come viene considerato assodato da molti suoi avversari – scivolasse verso l’avventura, ci sarebbero tutte, o quasi. Ma questo, a quanto pare, non si verifica. Il segnale non parte. Né, francamente, ci sono indizi di alcun genere che possa partire una qualunque azione sovversiva.

Di Forza Italia è meglio non parlare proprio: il disinteresse di Conte verso quella che ormai assume quasi i caratteri di un’offerta gratuita di collaborazione lascia perplessi e solleva nuovi dubbi sul suo enigmatico profilo politico (Grillino? Avvocato del popolo? Uomo di sinistra? Moderato? Addirittura cattolico liberale?). Un mistero sempre più fitto.

Comincia da qui il tentativo di capire l’origine di questa empasse del governo (questo è lo scopo di questa nota).

Se è vero – e a me pare vero – che non è nelle critiche del povero Renzi (quotato al 2-3%) che si può imputare la fibrillazione.

Se è vero – e anche questo mi sembra vero – che non si possono onestamente additare i comportamenti dell’opposizione, dalla più moderata, Calenda, a quella che si vuole a tutti i costi “sovversiva” (a scelta Salvini o Meloni).

Allora vuol dire che forse – per comprendere questa situazione – occorre fare lo sforzo di uscire da alcuni “loop” cognitivi.

Il primo è che la politica sostanzialmente non serva più, soprattutto in una situazione di emergenza, in cui sono in gioco la vita e la morte. La politica è un cumulo di manovre di palazzo che si fanno quando tutto è tranquillo, per far passare il tempo piacevolmente ad una casta di privilegiati. Quando entrano in campo i problemi seri serve piuttosto l’amministrazione e la scienza. Al massimo, una politica che sia il meno visibile possibile. Ho sentito in questi mesi diverse persone mature, colte e informate, (apparentemente) ragionevoli che sostengono che Conte è una figura molto adatta ad una situazione del genere proprio perché politicamente poco definito.

Ritengo queste affermazioni di straordinaria significatività. Vuol dire che la convinzione della inutilità della politica si annida ormai profondamente nel cervello di persone che neanche lo sospettano. E che si offenderebbero ad essere definite qualunquiste. Persone che anzi credono di essere profondamente coinvolte nel pensiero e nell’azione politici, magari perché coltivano una animosità verso uno o più avversari identificati quali agenti del male.

Personalmente, sono invece propenso a credere l’esatto contrario. L’animosità ha spesso cittadinanza nel “politico” ma non ne definisce affatto lo statuto. Direi che spesso ne è la negazione. La dimensione politica è altra cosa e nelle emergenze che mettono addirittura a rischio la vita delle persone questa dimensione è necessaria, molto di più che in tempi normali e molto di più della scienza.

Uno dei problemi – forse il primo – di questo governo è forse proprio nella persona del suo Presidente del Consiglio: oltre un certo limite, la capacità di assecondare la realtà, la cd “flessibilità” di un politico – Grillino? Avvocato del popolo? Uomo di sinistra? Moderato? Addirittura cattolico liberale? – può rovesciarsi nel suo contrario e diventare un elemento pericolosamente destabilizzante.

E allora, forse è proprio l’esilissimo profilo politico di questo governo l’origine della sua debolezza di fronte agli immani problemi che la comunità deve oggi fronteggiare.

Temo che individuare invece le cause nelle manovre degli oppositori (interni o esterni), con l’aggiunta del discredito di irresponsabilità, se non di criptofascismo, ci allontani grandemente dalla comprensione di ciò che sta accadendo.

Altrettanto debole ritengo l’argomento che oggi è un po’ il marchio di tutti i sostenitori ad oltranza dello status quo: “qualcun altro avrebbe potuto fare meglio?”

Questo argomento in primo luogo denuncia clamorosamente la convinzione – come dicevo sopra – della fine della politica, nella variante: “l’uno vale l’altro” e quindi mi preoccupa per l’enorme dilagare del qualunquismo (anche inconsapevole).

Inoltre, esso trova mille smentite: si pensi – ad esempio – alla pericolosità sul piano politico di annunci come quello dei 400 miliardi (figlio della stessa cultura della abolizione della povertà con il reddito di cittadinanza). Con la differenza che all’epoca dell’abolizione della povertà eravamo tutti nello stato d’animo di farci una risata (siamo un popolo che ama farlo appena possibile), in un momento in cui per molti è a rischio il reddito mensile da portare a casa (ed è già così e lo sarà ancora di più) la pericolosità per l’ordine democratico dovrebbe essere colta da ogni persona ragionevole.

Che trovare 400 miliardi non sia facile per nessuno è ovvio, ma solo pochi fra i politici oggi in circolazione (che pure hanno tanti limiti) avrebbero la ingenuità (?), irresponsabilità (?), scarsa esperienza della macchina dello stato (?), scarsa conoscenza dell’economia e della società (?) di costruire non solo la comunicazione politica, ma tutta l’agenda politica come un percorso dell’oca da un annuncio del genere fino al successivo.

Sarebbe facilissimo continuare con esempi di questo genere: dall’annuncio dell’ottenimento del Recovery Fund, alla mediocrità assoluta (credo ineguagliata nella storia recente del Paese) della qualità tecnico-normativa dei provvedimenti che sta progressivamente venendo a galla, alla moltiplicazione delle task forces, alle incertezze e ondeggiamenti sulle competenze Stato-Regioni (nella ignoranza di una norma costituzionale: art. 117, secondo comma, lettera q), ecc.. Tutto ci parla di una debolezza politica clamorosa di questo governo. E proprio nel momento in cui le cose si fanno più difficili, cioè il momento in cui tutti i nodi vengono al pettine.

E’ più realistico un governo di tipo diverso? E come ci si dovrebbe arrivare?

Sono domanda che non voglio pormi, in questa sede, anche perché la mia risposta ad esse sarebbero del tutto inincidente sugli eventi che accadranno.

Può anche accadere che Conte con la sua traballante compagine vada avanti per i prossimi 3 o 5 o 20 anni. Viviamo in tempi che sono difficilmente interpretabili.

Può darsi che nel Paese non ci siano effettivamente alternative praticabili perché i veti, i pregiudizi, le animosità reciproche sono troppo forti.

E’ possibile anche che gli eventi portino alla soluzione (incredibile sul piano democratico) che oltre il 50% dell’elettorato, ma anche una parte significativa del Paese – geograficamente e socialmente identificabile con le sue prevalenti forze produttive – venga ritenuta, con la massima naturalezza, una sorta di corpo estraneo da tenere alla larga dalle sedi decisionali nel momento in cui si decide di portare il debito pubblico dal 130% al 170% del PIL (una botta da 500 mld). Cioè nel momento in cui si parla di cifre che pagheranno non solo tutti (il 100% degli elettori) ma addirittura i loro figli e nipoti.

Tutto è possibile. Ma credo che il mio, il nostro compito non sia quello di votare la fiducia ad un governo, o – peggio – di trovare in Parlamento una soluzione alternativa, ma di dare alle cose il loro giusto nome. I nomi che mi sento personalmente di dare agli scenari sotto i nostri occhi sono “grave caduta dell’etica pubblica e pericolosa crisi della democrazia”. Non credo che questo quadro sia attribuibile alla persona di Conte, né alla sua maggioranza, ma neanche alla opposizione. Sarebbe troppo semplice, ma troppo distante dalla realtà.

Un’indagine approfondita sulle cause che hanno condotto a questo stato (e che non sono riducibili alla pandemia) è un’altra questione che deve stimolare le menti di tutte le persone di buona volontà per renderle capaci di leggere l’attualità, nell’interezza dei suoi aspetti, anche sconvolgenti. E soprattutto nelle enormi novità intervenute in decenni che ci portano oggi lontanissimo da qualunque schema interpretativo traslato dal passato.

Enrico Seta

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