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La catastrofe dopo la  guerra

Come l’ albero si conosce solo dai suoi frutti, così la natura mostruosa del mito moderno  della nuova guerra affiora pienamente soltanto nei suoi esiti “pacifici”.  Pochi percepirono subito la mutata natura della guerra: tra questi pochi, la Chiesa cattolica, che aveva sempre sostenuto la teoria antica ed agostiniana della “guerra giusta” e  bollò invece con un sorprendente documento ufficiale dell’agosto 1917 la guerra come una “inutile strage” ( inutile dire quanto profetica espressione ) .

Cosa era successo? L’ impiego della forza militare e delle nuove tecnologie non  riusciva a realizzare gli effetti della legge del più forte, a concludere  il “lavoro sporco” rapidamente e lontano da sguardi indiscreti (le innumerevoli foto di guerra non mostrano mai un soldato deceduto né gli effetti della violenza bellica né i vecchi manuali di storia del fascismo descrivono la guerra di  trincea), non riusciva a produrre la debellatio necessaria per imporre la “pace” dei vincitori.  La fine della guerra, in questo caso, postulava lo sgretolamento politico e sociale di una delle parti in causa.

La grande guerra infatti termina solo allorquando il logoramento bellico, che ha sconquassato l’ impero zarista, sgretola anche gli imperi centrali, quello tedesco e quello austroungarico. La capitolazione della Germania avviene, come noto,  l’ 11 novembre dopo l’ammutinamento  della flotta, il dilagare dei disordini operai  e l’abdicazione di Guglielmo II. Non è molto diverso per l’ Impero austro-ungarico.

La grande guerra finisce non con una vittoria da festeggiare per i “vincitori”, ma con un disastro irrimediabile e con ferite sociali terribili tanto nel corpo degli Stati vinti quanto  di quelli vincitori.

La guerra aveva seminato uno spirito di violenza  ormai filtrato entro la vita politica interna degli Stati, alterando i sistemi politici di quasi tutti gli Stati europei. ”Il potere politico nasce dalla canna del fucile” dichiarò uno   sconosciuto -all’epoca- capo del piccolo partito comunista cinese nel 1927, Mao Zedong.

I totalitarismi furono il frutto principale della grande guerra, quello nazista, ma anche quelli fascista e comunista che lo precedettero. E, dopo la guerra, il carattere punitivo della “pacificazione” dei vincitori alimentò una volontà di rappresaglia che non tardò a manifestarsi in una Europa ormai balcanizzata e infiammata dai nazionalismi aggressivi, in cui le frontiere erano raddoppiate di  estensione dopo la nascita dei nuovi Stati.

La combinazione dei due fattori , mito della violenza padrona della storia e mito della “pace” come “punizione  dei responsabili”, produsse il miscuglio micidiale di risentimenti reciproci  da cui rinacque, dalle ceneri ancora calde,  la nuova guerra  nel  1939.

Una guerra nuova che “demitizza”la guerra

Fu il secondo conflitto mondiale paradossalmente a mettere in crisi il mito della guerra. La mitologia della onnipotenza della guerra e del potere politico senza limiti vennero distrutte in un infermale contrappasso dantesco.  Il secondo conflitto mondiale, dopo il 1941, si prospetta infatti  non più soltanto come un conflitto tra due coalizioni di Stati, ma soprattutto come il conflitto tra un potere totalitario che mira apertamente a sottomettere la società europea ad un dominio totale  e la società civile che gli resiste prescindere dai confini di ogni Stato.

La guerra diviene sempre più  una “guerra ai civili” e una “guerra senza limiti giuridici o umanitari” ( Olocausto,  stragi e bombardamenti di civili ne sono gli esempi). Il fenomeno dilagante delle “resistenze” armate e non armate che riguardò, se si esclude la Germania, ogni Stato europeo in guerra,   fu espressione della volontà concorde di ricostruire i limiti giuridici di ogni potere e di ridare spazio al diritto. La volontà dei resistenti e di molti combattenti di ricostruire le condizioni della pace, non è in questo caso affermazione retorica.  La pace, questa volta, si cominciò a costruire proprio dentro la guerra anche per le elite di governo: non si attendeva più  la “vittoria finale”per pensare la pace. Si fissano obiettivi precisi come quelli della Carta Atlantica, proposta dall’ iniziativa di Roosevelt e Churchill a Terranova il 14 agosto 1941, o quelli  della Dichiarazione congiunta delle Nazioni Unite il 1 gennaio 1942. Non più la pace della deterrenza ma una pace che presuppone precise precondizioni economiche come l’ “accesso in condizioni di parità ai commerci e alle materie prime mondiali”( Carta Atlantica punto IV) non certo la spartizione tra i potenti del mondo  delle “terre rare”.

Da questa idea di pace fondata sulla  cooperazione e sulla esistenza di una vera comunità internazionale,  rinasce poi l’idea federalista di Luigi Einaudi, avanzata  dopo la grande guerra, e riproposta nel 1941 dal Documento di Ventotene.  Dopo la guerra nasce l’ ONU, nascono le istituzioni globali della pace. Le aberrazioni del secondo conflitto mondiale avevano decisamente screditato la guerra.

 “Guerra umanitaria” e ritorno del mito in forma di   “guerra  necessaria”

Dal 1945 al 1990 vi è stato quasi un  cinquantennio di “pace europea”. Grazie all’equilibrio nucleare USA-URSS?  Probabilmente sì, ma non solo grazie ad esso. Grazie anche ad una situazione, in cui i singoli conflitti armati e le operazioni militari ( Ungheria 1956 Cecoslovacchia 1968) peraltro  legati al sistema post totalitario del comunismo, finivano con l’essere ricomposti e concludersi rapidamente, senza turbare il sistema delle relazioni internazionali. Il sistema era fondato su un complesso di regole che “funzionava” e che raggiunse il suo acme con l’Atto di Helsinki del 1975, che riconobbe i confini dell’area sovietica ( e quindi la divisione della Germania) ma inserì quella tutela dei diritti che di lì a poco avrebbe fatto saltare pacificamente il sistema sovietico.

Furono le guerre della ex Jugoslavia e soprattutto una guerra non europea, la prima guerra  del Golfo del 1990, a   cambiare le cose. La guerra del Golfo approvata dall’ ONU riaprì invece la strada alla guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali.

Non era più il caso della guerra del Vietnam,  operazione militare obiettivamente illegittima, una guerra non dichiarata, anche se vi erano coinvolti centinaia di migliaia di soldati americani, una guerra che le opinioni pubbliche mondiali potevano contestare e stigmatizzare apertamente.

Dopo il 1990, grazie ai regimi di emergenza bellica ( guerra per punire e bloccare le violazioni dei diritti di  minoranze etniche)  muta la nozione di guerra, che non è   più solo conflitto interstatale volto alla debellatio di un altro Stato, ma, anche e più genericamente,  operazione militare speciale,  guerra a fini umanitari, o operazione di  peace enforcing. Una prassi che nel caso italiano si allontana dal disegno originale della Costituzione paralizzando  la previsione della dichiarazione dello stato di guerra e lo stesso articolo 11. Ma soprattutto un tipo di  guerra che infligge progressivamente  un vulnus micidiale a diritto internazionale e relazioni tra Stati.

Pensiamo all’operazione militare che prevedeva il bombardamento di Belgrado per “sanzionare” la Serbia che discriminava gli Albanesi del Kosovo nel 1999, operazione NATO cui partecipava anche l’Italia, non coperta dall’ ONU e cioè dall’unanimità del Consiglio di Sicurezza.

Dentro il “cavallo di Troia” delle guerre umanitarie arriva così lentamente ma inesorabilmente la rilegittimazione della guerra come nuovo “mito”. Non più una guerra onnipotente, ma una guerra inevitabile, per risolvere le controversie internazionali.

Nel caso dell’intervento militare italiano in Kosovo del 1999 , deciso autonomamente dalla NATO, l’uso della forza armata in modalità bellica sul territorio di un altro Stato sovrano, va oltre l’art. 11. Si svuota così pericolosamente la disciplina  costituzionale  che imbrigliava  la guerra.

Quando poi la guerra diviene, almeno nella percezione diffusa. evento globale e incontrollabile( non distinguibile dal terrorismo) vale a dire dopo l’ 11 settembre 2001, dopo le Torri Gemelle, quando l’inaudito atto di guerra terroristico condotto al di fuori di poteri statali e giuridici ha legittimato  una reazione illimitata in risposta, prima in Afghanistan ( 2001) e poi in Iraq ( 2004) senza l’avallo del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU , spaccando peraltro i Paesi dell’alleanza atlantica, si afferma un diritto all’autodifesa fondato sulla guerra preventiva, che potenzialmente apre la strada ai conflitti più diversi a partire da quelli mediorientali.

E come guerra preventiva viene presentata da Putin  anche quella che  inizia il 22 febbraio del 2024 con l’invasione russa dell’ Ucraina. (Segue)

Umberto Baldocchi

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