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Metamorfosi del mito nella UE e “Presidente della pace” in USA : un paradosso illuminante  

Il mito della guerra sembra oggi permanere in forme mutate, potremmo dire come anti-mito o come normalità inevitabile nel governo della UE. La guerra non  più come situazione di eccezione e di emergenza, ma come una sorta di “routinizzazione” del conflitto armato.   Dall’onnipotenza della guerra siamo passati all’impotenza dei popoli che in un mondo sempre più ristretto e ultra competitivo, possono salvarsi solo “correndo sempre più veloci” e armandosi più dei propri avversari reali e potenziali.

Evidentemente tutto si intreccia ai grandi mutamenti culturali antropologici e sociali della società dell’astrazione a dominanza tecno-finanziaria entro  cui viviamo ed ai sistemi di governo di questa inedita realtà. Ed in particolare al governo della UE.  Nella società liquida in cui una politica deresponsabilizzata ha come suo massimo obiettivo tenere in ordine i conti finanziari (non ovviamente quelli delle famiglie e delle imprese sempre retoricamente citate)  la fine della relazione  umana, sostituita sempre di più oggi dalla connessione mediatizzata, mina alla radice la solidità di ogni comunità dalla più immediata e ristretta come quella familiare a quella più ampia, alla comunità internazionale che non si percepisce più come tale.

E’ il risultato dell’ anti-sovranità che domina le istituzioni europee e la sua cultura di governo tecno-finanziaria ed anti-politica.

Come ci rivelano relazioni e rapporti ufficiali, come le linee guida della Commissione Von der Leyen del luglio 2024, la competizione assoluta è il cuore e la direzione della azione istituzionale europea che, come noto, non accetta alcun principio di sovranità comune e cioè di discrezionalità politica comune. Non è la “discretion” ma sono le “rule” a guidare l’ Europa.  E le regole fisse nel tempo non sono altro che quelle tecno-finanziarie, sono esse il vero sovrano, irresponsabile ed “unaccountable”. Come affrontare in questo modo la tragedia di Gaza o la guerra di Ucraina?

Anzi il principio di competizione che sembra il principale, o l’unico,  articolo di fede della attuale Commissione per un effetto spill-over si trasmette alla politica delle relazioni internazionali, scalzando ogni idea di comunità. Se vi è competizione alla base della vita pubblica la disponibilità delle risorse scarse, delle quote di mercato e via dicendo, vanno sempre  conquistate con strumenti che in effetti sono armi, prevalentemente pacifiche, ma anche belliche. Non ha più senso distinguere tra pacifico e bellico. La guerra, parafrasando Von Klausewitz è divenuta la continuazione della economia finanziaria con altri mezzi.

Il più noto di questi mezzi “pacifici” è quello delle “sanzioni”, i diciannove pacchetti applicati dall’ UE  alla Russia, Oggi si parla anche di utilizzo di asset finanziari di privati cittadini e aziende russe, una misura che potremmo dire “leninista”.

La confusione guerra-pace ben si esprime nel termine ricorrente nei documenti europei di “weaponisation” cioè di bellicizzazione  della gran parte degli strumenti di gestione delle relazioni internazionali che è entrata nel vocabolario corrente europeo. Già prima dell’ uso disinvolto  dei dazi punitivi imposti da Trump. Si parla così con un inquietante e “orwelliano” neologismo  di  guerra ibrida,  che fonde entro una unica entità il lancio di un vero missile nucleare, l’hackeraggio di un sito informatico e la liberazione di inoffensivi droni esplorativi. Abbiamo rinominato le cose ed abbiamo, come nei romanzi di Orwell, chiamato “guerra” ciò che è attività nociva ma perfettamente realizzabile senza alcun conflitto armato.  Si apre così, in Europa una inquietante prospettiva di evoluzione costituzionale: se la spesa bellica è indistinguibile da quelle per i sistemi informatici, per le telecomunicazioni, per l’istruzione, mutano, attraverso il meccanismo dei poteri impliciti, le competenze  costituzionali e muta l’arbitro delle condizioni di pace ( o di guerra) può divenire il medesimo organo che si occupa di economia e finanza o che accentra una abnorme quantità di competenze.  Un organo che certo non può essere un Parlamento.

Già oggi vediamo quanto per l’ UE sia stato difficile  o impossibile  occuparsi del massacro di Gaza per intervenire sui diritti violati attraverso un sistema di semplici sanzioni economiche. E non per il vincolo dell’unanimità ma solo perché non potrebbe essere diversamente con una “governance” a  trazione tecno-finanziaria, che ha sicuramente altre priorità.

Paradossalmente,  è stato così il potere tecno-nichilista di Trump, non l’ UE,  a promuovere iniziative efficaci per la pace o almeno per una tregua nei conflitti al centro dell’attenzione mondiale. Trump il “peace  president” che fa cessare il fuoco a Gaza !

Certo un potere che si connota per assenza di regole costituzionali e di rispetto di ogni organismo internazionale di garanzia, che si veste addirittura di fogge religiose, che mitizza se stesso. Ma che, proprio per questo,  non tratta la guerra come mito o come quotidianità inevitabile, ma riesce a piegarla alle opportunità del potere medesimo e dei grandi poteri finanziari eventualmente, imponendole comunque limiti o  magari esternalizzandola verso altri soggetti.

Questo potere può trattare da pari a pari con i nuovi poteri mondiali, autocrati, zar, dittatori e via dicendo  perché non ha bisogno di costruire “Imperi del Male” o di demonizzare la controparte, ma può considerare le altre potenze come parti di una “comunità di potenti del mondo” che ben possono collaborare o intendersi  magari per spartirsi le risorse scarse e per fare i propri interessi.

L’ Europa di governo non è riuscita invece a superare il mito della guerra, l’ immaginario bellico divenuto nuova forma mentis diffusa che continua presentarci la guerra come un fatto inevitabile.

Il potere che può fermare le guerre, non solo a Gaza

L’ondata di manifestazioni europee, gli eventi delle flottiglie nelle acque di Gaza  e la cessazione del fuoco a Gaza. Il mito della guerra che si alimenta dalle idee di onnipotenza ( tecnologica) e di impotenza ( sociale) sta evaporando.  Sino ad oggi però solo il potere nichilista di Trump sembra prenderne atto, interrompendo la guerra laddove è sempre più arduo accettarla. Solo l’ Europa pare invece condannata ad un riarmo perpetuo ed a mantenere ai suoi confini una guerra interminabile.

Tuttavia il massacro di Gaza ha generato una ribellione inattesa almeno nelle dimensioni. Un potere civile ha contrastato un immenso potere militare e politico . E’ scesa in campo la forza della coscienza sociale, è nata una pressione sociale dal basso su scala nazionale e internazionale, una pressione che significa disobbedienza ai consigli “ragionevoli”  di chi chiedeva alla Flotilla di fermarsi prima di subire arrembaggio ed arresti,  in base al “senso comune” per cui “ Non ha alcun senso fare cose che sono oltre la nostra possibilità” ed in base al fatto  che “E’ necessario obbedire al potere” come afferma Ismene nell’ Antigone di Sofocle. Ma è a questa forza sociale, impalpabile, disarmata, invisibile, ma  in realtà enorme ed efficace, laddove essa restituisce speranza ai cittadini comuni ed opera sui governi e sulle elite dirigenti,  che sono affidate le sorti delle guerre di Ucraina e di Gaza e anche il destino dell’ Europa. Che non può accettare alcuna normalizzazione della guerra se vuole   ancora essere Europa.

Forse oggi è possibile farlo, è possibile tornare alla vera missione europea, perché sta tragicamente affondando il “lunghissimo secolo” ( altro che “secolo breve”!) il NOVECENTO.  Come ha riconosciuto Baricco, il grande movimento del 3 ottobre ( con  fatti di Gaza) ha segnalato la frattura tra due continenti:  “Da una parte la terra emersa del Novecento, con i suoi valori, i suoi principi e la sua storia tragica. E dall’altra un continente, ancora spesso sommerso, che sta staccandosi dal Novecento”. ( Alessandro Baricco, L’ addio al Novecento dei ragazzi nelle piazze, 9 ottobre 2025, testo online)

Chi è sceso in piazza e chi ha condiviso queste idee sta abbandonando vecchi miti e vecchie semplificazioni:   “credere che la guerra sia una soluzione, il culto dei confini, la centralità delle armi e degli eserciti, la religione del nazionalismo”( Alessandro Baricco cit.) Per questo ci possono essere motivi di speranza anche in una tregua fragile e precaria.

Umberto Baldocchi       

 

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