Una ribellione europea e globale alla guerra
Il 3 ottobre 2025 non c’è stata una manifestazione italiana per Gaza, c’è stata in realtà una enorme manifestazione europea autoconvocata, che si è svolta non solo nelle tante città italiane, ma anche a Barcellona, Lisbona, Madrid, Bruxelles, Berlino, Parigi, Varsavia, Amsterdam e certamente anche altrove, l’elenco è senz’altro in difetto. Non proprio un evento frequente. Personalmente non ricordo, scorrendo la mia memoria personale, niente di simile nei decenni passati. Qualcuno ha ricordato addirittura il lontano precedente di novanta anni fa, le manifestazioni mondiali contro l’aggressione fascista all’ Etiopia del 3 ottobre 1935.
Stavolta non “una piazza per l’ Europa” convocata da singoli volenterosi o da stagionati “europeisti”, ma “una Europa nelle piazze”, l’ “Europa reale” (non l’ “Europa legale” in altre faccende affaccendata ), autoconvocatasi in tantissime piazze europee. Una Europa che rivendicava dignità e umanità non contro “una guerra” in generale, ma contro ciò che è stato di fatto un moderno assedio, l’assedio di Gaza, cioè il ritorno alla più antica e alla più classica delle forme di guerra totale.
Nel frattempo, o poco prima, la flottiglia per Gaza è stata intercettata dall’ esercito israeliano, ma diversamente da quanto successo alla Freedom Flotilla del 2010. quando nelle medesime acque internazionali, la nave Mavi Marmara il 31 maggio 2010 ebbe un abbordaggio dell’esercito israeliano con nove attivisti uccisi e un consistente numero di feriti, durante questo abbordaggio sembra non sia stato torto un capello a nessun attivista, non sia stata usata alcuna violenza armata in situazioni pur identiche o simili a quelle del 2010. E’ innegabile che sia cambiato qualcosa tra il 2010 e il 2025. Qualcosa di importante e decisivo. Evidentemente c’è un legame inconfessato e inconfessabile, indiretto ma efficace, tra manifestazioni pacifiche, governi nazionali e scelte strategiche dei governi e dei “potenti” del mondo, a partire da Trump, come fanno supporre i progressi inaspettati, fino a poco fa inconsistenti, verso una pace o una tregua o almeno un “cessate il fuoco” per Gaza.
Ma cosa esattamente è cambiato o sta cambiando? Probabilmente molte cose, difficile ora individuarle. Ma a mio avviso possiamo sostenere con sicurezza che una cosa è cambiata. Il mito novecentesco della guerra ha fatto o sta facendo bancarotta. Il che non vuol dire che le guerre finiscono, ma che la logica di onnipotenza e/o di inevitabilità della guerra, i due corollari del mito, non è più accettata dai popoli, a partire da quelli europei. Che forse stanno riscoprendo anche il compito o la missione vera dell’ Europa.
La nascita del mito moderno della guerra nel XX secolo
Le ragioni della guerra, come condizione naturale, non dominabile ed “eterna” degli esseri umani, rimandano ad una “lettura unilaterale e presuntamente continuistica della storia [su cui] la visione “realistica” fonda i suoi assiomi” ( Tommaso Greco, Critica della ragione bellica, Laterza, 2025, pp.5,6, passim). Secondo queste narrazioni la guerra “esprime un tratto profondo del comportamento della nostra specie”, un tratto che finisce per essere legittimato come “ l’unico che abbia un fondamento naturale e che abbia avuto una continua conferma dalla storia”. ( Tommaso Greco, Ibidem). Homo homini lupus senza alcuna possibile via di uscita.
Tali ragioni si reggono in prevalenza su un pensiero, oltre che filosofico, storico, ma di tipo mitologico, fondato su semplificazioni, generalizzazioni e semplificanti riduzionismi. Il mito è la forza ( e insieme la debolezza ) di chi difende le ragioni della necessità o inevitabilità della guerra.
L’uomo comune è abituato a pensare la storia per miti. Spesso purtroppo anche grazie alla storia appresa sui banchi di scuola. Il pensiero mitologico è sopravvissuto a ogni cambiamento e progresso culturale e tecnologico ed oggi dilaga nella “storia” presente nel senso comune.
Ognuno di noi ha una coscienza storica, anche chi non ha mai aperto un libro di storia o fatto ricerca storica. Il pensiero storico mitologico consente infatti di pensare la realtà sociale in modalità selettive, riduttive e unidimensionali, e soprattutto fornisce modelli normativi ed identificativi cui conformare i comportamenti. Ci suggerisce cioè come comportarci in situazioni sociali inedite e nuove. Il mito storico può anche svolgere funzioni positive, ma più frequentemente può essere usato per sviluppare i conflitti e le opposizioni. Il mito risorgimentale della “patria sì bella e perduta” non ha prodotto certamente i disastrosi conflitti di quello dannunziano della “vittoria mutilata” dopo il 1918, o di quello mussoliniano del ritorno dell’ Impero sui colli fatali di Roma.
In che senso esiste o è esistito allora un “mito moderno” della guerra? La guerra è esistita sin da primordi, sin da quando conosciamo la storia umana; è stata un idolo, un mostro, un evento inevitabile, un inesorabile “giudizio di Dio”, una lotta contro il male incarnato da una diversa religione, la lotta di una divinità contro un’altra, addirittura un mezzo per eliminare le guerre. Essa era comunque sempre giustificata o legittimata da altro, da una finalità esterna. Non era mai un mito, ovvero un evento provvisto in sé di elementi esplicativi, legittimanti, normativi, o sacralizzanti, persino la guerra “santa” era legittimata dall’ esistenza di un Male esterno e assoluto.
La guerra doveva sempre essere spiegata, non era mai essa a spiegare la realtà. Ma dal 1914 la natura della guerra muta radicalmente. Con la Grande Guerra, nel 1914, compare infatti nella storia europea, e mondiale, qualcosa di inedito e di inaudito. Qualcosa che all’epoca fu soltanto intuito e poté emergere pienamente solo più tardi, dalle riflessioni della letteratura e della filosofia. Compare ora “qualcosa di trascendente rispetto agli individui” ( Tommaso Greco, Critica della ragione bellica, Laterza, 2025 p. 125), un meccanismo cieco e onnipotente che agisce indipendentemente da coloro che lo muovono, un meccanismo che muove, invece di essere mosso da altro. Quasi un “motore immobile”, che muove per attrazione, per impiegare il termine aristotelico che designa la divinità.
La guerra mai prima era stato qualcosa del genere. La guerra cui eravamo abituati, dall’antichità all’evo moderno, aveva sempre postulato una giustificazione o una spiegazione esterna mai era qualcosa che si autogiustificava, si autolegittimava, , dalla volontà di indipendenza di un popolo privato del
Ma nel 1914 non è così. La guerra “giusta” per punire l’atto terroristico di Sarajevo si trasforma subito in una guerra globale, cui è essenziale aderire, poco importa a quale delle due parti e per quali motivazioni. Non c’è bisogno di motivazioni, la guerra è il motivo, il vero movente. E gli uomini comuni vanno incontro alla morte cantando: “ i poveri uomini andavano [incontro alla guerra] sghignazzando e cantando. Da tutti quei treni uscivano i medesimi suoni di gioia o di ebbrezza” ( Italo Svevo, La coscienza di Zeno, cap.VIII, 1925).
La “grande guerra” è più di una guerra, è l’ espressione di una nuova visione del mondo, in cui si fondono entusiasmo per la modernità e senso tragico dell’esistenza. Massima espressione della modernità, in quanto massima rottura delle regole. Energia e potenza allo stato puro. Guerra come acceleratore indispensabile di un progresso straordinario, onnipotente, che è sfuggito al controllo umano ed è ormai inarrestabile, come notarono subito, in modo entusiastico, i futuristi.
E “progresso” è soprattutto volontà di accelerare i processi storici, whatever it takes . E’ pura “volontà di potenza” è esplosione di energie umane e materiali senza precedenti, è una espansione della vita attraverso la lotta , secondo la legge della massima intensità, della massima velocità. Per alcuni addirittura è una “igiene del mondo”, per altri, fino a poco prima nemici di ogni guerra, addirittura la via migliore per realizzare una rivoluzione sociale. Anzi la guerra è per costoro la vera “rivoluzione” sociale. Si inaugura ora il terribile binomio novecentesco “guerra e rivoluzione”. “I destini del socialismo europeo sono in relazione strettissima coi possibili risultati di questa guerra; disinteressarsene significa staccarsi dalla storia e dalla vita, lavorare per la reazione e non per la Rivoluzione Sociale”, scrive su Il Popolo d’ Italia Benito Mussolini, ancora “socialista” sia pure sui generis, nel novembre 1914.
Stare fuori dalla guerra sarebbe stare fuori dalla storia e dalla vita, dal progresso, dalla modernità, dal futuro. E non solo per Mussolini, ma per tutti. La guerra è ormai una entità trascendente e onnipotente destinata a guidare il progresso del mondo.
Idee certo terribili, ma idee che nel 1914 guidano le elites dirigenti verso la guerra globale del nuovo XX secolo. (Segue)
Umberto Baldocchi