La Corte Costituzionale dovrebbe perlomeno fermare, dall’avvio della crisi alla sua conclusione, il “countdown” in vista del prossimo 24 settembre, consentendo all’eventuale nuovo governo e soprattutto agli schieramenti parlamentari nella configurazione dei nuovi equilibri che si vanno ricomponendo tra maggioranza ed opposizioni, di fare la loro parte, senza un assillo fuorviante, in merito all’art. 580 del Codice Penale.
In ogni caso, l’embricatura tra poteri dello Stato e’ sempre una china scivolosa e rappresenta un potenziale pericolo, tanto maggiore quanto più avviene ai piani alti delle responsabilità istituzionali.
E’ almeno inusuale che il Parlamento riceva una sorta di “cartolina-precetto” che gli imponga tempi tassativi per un pronunciamento legislativo – per di più in un ambito delicatissimo ed in larga misura inesplorato – tra l’altro sotto schiaffo di un intervento di supplenza, da parte appunto della stessa Corte, che lo priverebbe di una facoltà che, ad ogni modo, gli appartiene.
Del resto, non conviene a nessuno – neppure alla Corte, per quanto agisca nella piena legittimita’ formale delle sue attribuzioni – concorrere alla crescita della convinzione che il Parlamento sia un covo di sfaccendati che meritano il discredito di cui godono.
Per di piu’, se si considera che il Parlamento, nel merito del cosiddetto “fine vita”, lavorando su un tema affine con l’approvazione della legge sulle DAT – per quanto almeno ambigua e non condivisibile per rilevanti aspetti – ha comunque dimostrato di non essere reticente.
In ogni caso – soprattutto a futura memoria, dato che l’approdo nelle sedi legislative di questioni controverse sul piano bioetico e biogiuridico, sarà sempre più ricorrente – va osservato come, peraltro non diversamente che in altri Paesi, anche il nostro apparato politico-istituzionale e’ tarato su tematiche di ordine collettivo ed ancora con difficoltà, anche di metodo e non solo per la delicatezza dei contenuti, maneggia questioni che toccano, invece, addirittura i profili piu’ privati, anzi intimi della vita dei singoli.
Occorre fare chiarezza e sviluppare una cultura istituzionale tale per cui si assume a priori che determinate tematiche non sono di competenza dei governi, bensi’ delle assemblee parlamentari.
Nessuno si e’ scandalizzato in Germania quando la Merkel, capo dell’esecutivo, da parlamentare ha votato contro una legge di forte valenza etica approvata dal Bundesrat.
Intanto – e questo sarebbe un profilo da esplorare in quanto ha una sua valenza di carattere generale, in un contesto civile complesso e plurale, ricco di tante soggettivita’ – non e’ detto che ci si debba sempre attenere ad un potere dispositivo degli esecutivi che, su particolari materie, può risultare pervasivo, invadente ed inopportuno.
In secondo luogo, argomenti di carattere etico ben difficilmente – ed impropriamente – possono essere fatti oggetto di trattativa, soprattuto in un ambiente in cui vi sono ancora forze politiche di rilevante coratterizzazione culturale.
Per un verso, sono difficili da comporre in un programma comune ed, in una certa misura, rendono, quindi, meno agevole costruire una alleanza solida e davvero coesa.
Per altro verso, quando si arriva, nel confronto parlamentare, al momento del dunque e prevale la necessita’ di tutelare la maggioranza di governo per una elementare ragione di schieramento, tali questioni rischiano di venir compromesse e sacrificate ad intese occasionali e più’ o meno posticce.
Ma soprattutto, le questioni eticamente sensibili richiedono un confronto di vasto e libero respiro che solo un franco e schietto dibattito parlamentare, libero dalla preoccupazione di ricadute sulla governabilita’ complessiva del Paese, può garantire.
Come va, d’altra parte, assicurato un coinvolgimento effettivo delle diverse istanze culturali presenti nel Paese che devono poter interloquire con la stessa dialettica di cui si fanno carico le assemblee elettive.
Si tratta, infine, di una modalità che assicura anche a noi la possibilità di avanzare in maniera netta e trasparente le nostre posizioni e di concorrere senza infingimenti al “discorso pubblico” su temi che riteniamo, non per noi o per la rivendicazione puntigliosa del nostro avviso in merito, ma per la collettivita’, di straordinario rilievo.
Domenico Galbiati