Il viaggio a Roma del Vicepresidente americano J. D. Vance non è stato impreziosito dall’incontro diretto con il Papa. Per tanti motivi. Gli impegni pasquali cui Francesco non intende assolutamente rinunciare. E le sue condizioni di salute richiedono una drastica riduzione degli altri impegni. Così, quello che è stato possibile organizzare con Re Carlo III del Regno Unito, e cioè un incontro diretto, sia pure solo nella modesta residenza di Santa Marta, non si è ripetuto con il vice di Trump. Vediamo se verremo smentiti, oggi, in occasione della Messa pasquale in san Pietro.
Ma è inutile girarci attorno. Papa Francesco ha già molte volte indicato i punti che lo preoccupano delle cose del mondo e tanti sono i temi su cui è possibile registrare una totale non coincidenza di vedute con le linee seguite dalla nuova Amministrazione statunitense in cui Vance, comunque un cattolico fervente, sia pure di recente conversione che risale al 2019, ha finito per assumere un ruolo di assoluta rilevanza.
Papa Francesco è quello che ha scritto la Laudato si’, che ha iniziato il pontificato recandosi di persona sul punto del Mediterraneo dove è avvenuta una delle più gravi tragedie delle migrazioni. Che ha – e in questo mettendosi in piena continuità con i suoi immediati predecessori- sempre condannato una economia turbo finanziaria che distrugge esseri umani, famiglie, Lavoro e lavoratori. Oltre che gli equilibri mondiali i quali, invece, avrebbero dovuti essere consolidati mai abbandonando una prospettiva di convivenza e di pace.
Probabilmente, quello che Papa Francesco avrebbe detto a Vance, il Pontefice lo ha anticipato con la lettura delle meditazioni del Venerdì santo scritte di suo pugno. Tutte incentrate su quello che ha definito “il mondo a pezzi”, quale logico sviluppo dell’allarme lanciato sulla “terza guerra mondiale a pezzi”, sugli scartati del mondo e l’economia.
Se è evidente che gli Stati Uniti non sono gli unici responsabili di ciò che viviamo è altrettanto vero che, anche all’Amministrazione Trump, ben si attanaglia la riflessione critica di Francesco che, sempre nelle sue meditazioni, ha invitato a comprendere “l’economia di Dio” – che “non uccide, non scarta, non schiaccia. È umile, fedele alla terra”, tanto così diversa da “quell’economia disumana in cui novantanove vale più di uno. Eppure, abbiamo costruito un mondo che funziona così: un mondo di calcoli e algoritmi, di logiche fredde e interessi implacabili”.
Si tratta di una valutazione certamente generale, ma diventata ancora di più attualissima dopo gli sconvolgimenti provocati dalla politica di Trump, e non solo quella dei dazi, basata sulla logica del più forte. E, soprattutto, diretta a danneggiare i più deboli e i più disarmati in tutto il mondo.
Vi sono, dunque, delle criticità nei rapporti tra Papa Francesco, Trump, la sua amministrazione e il suo mondo. Il Papa già criticò aspramente, nel corso del suo primo mandato del Presidente Usa, la decisione d’innalzare il muro texano per bloccare i migranti e tutta la politica statunitense in materia. Recentemente è stato proprio Vance ad innescare una polemica contro i vescovi americani usando un tono che ha portato il Cardinale Timothy Dolan di New York a definirli “semplicemente scurrile. Veramente brutto”. Il Vicepresidente, infatti, aveva accusato i pastori cattolici di “ricevere 100 milioni di dollari per assistere i migranti” chiedendosi se le accuse rivolte al governo di Washington mirassero a proteggere “i loro affari”.
Anche lo Stato del Texas ha attaccato la Chiesa denunciando alcune parrocchie di offrire alloggi a migranti ed è stato chiesto ai tribunali di chiudere alcuni centri e di richiedere la consegna di tutti i relativi documenti alle autorità. La cosa è finita in tribunale.
Come ha ricordato recentemente il professor Domenico Maceri, professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California, Trump ha nominato ambasciatore presso il Vaticano Brian Burch, un critico di Papa Francesco sostenendo che l’attivista gli ha fatto guadagnare più voti cattolici di qualunque altro candidato presidenziale.
Infine, Vance ha innescato una discussione di natura anche teologica, in merito alla questione dei migranti, in cui il Papa in persona si è sentito in dovere d’intervenire inviando una lettera ai vescovi di tutti gli Stati Uniti. Il Vice di Trump ha difeso la dura politica trumpiana sui migranti facendo riferimento alla teoria dell’ordo amoris di sant’Agostino. Interpretandola come conferma dell’esistenza di una gerarchia d’interessi e di valori in base alla quale il cristiano deve pensare al benessere dei suoi congiunti di sangue e non certo agli stranieri. E così Francesco ha preso carta e penna per ricordare la fede dei cristiani in un Dio “sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato” e che lo stesso Gesù e la sua famiglia furono migranti, rifugiati, profughi.
Non sappiamo, allora, se la speranza di Vance d’incontrare personalmente Francesco fosse un tentativo di pacificazione, ben sapendo, però, che Francesco, il quale lo ha scritto papale papale nelle meditazioni di due sere fa, chiede “lacrime di ripensamento di cui non vergognarsi, lacrime da non rinchiudere nel privato, di lacrime sincere, non di circostanza”. Oppure il limitarsi ad ottenere una foto di circostanza da esibire tra quell’elettorato cattolico americano che ha, sì, sostenuto Trump, ma certo senza arrivare ai livelli di J.F.Kennedy il quale, nonostante tutto, indicava ben altra strategia per il confronto sui segregati, gli esclusi e, pure, con il resto del mondo.
Molto probabilmente nel mondo curiale la fermezza di Francesco fa storcere la bocca a più d’uno. Ma anche quella che è considerata una delle più efficaci e raffinate diplomazie del mondo non può certo dimenticare il detto evangelico: “Sì, il sì”, “No, il no”; il di più viene dal Maligno.
Giancarlo Infante