La guerra di Israele ai Palestinesi sta diventando sempre più di natura etnica e religiosa. Alla distruzione di tutte le moschee di Gaza, all’attacco alla Chiesa cattolica della Sacra Famiglia, si è aggiunto anche il fermo, provvisorio ma minaccioso, del Gran Mufti di Gerusalemme. E tutto questo mentre ci troviamo ancora di più di fronte ad una delle più gravi violazioni del Diritto internazionale dalla Seconda guerra mondiale ad oggi dopo la decisione della Knesset, il Parlamento di Israele, di procedere all’incorporamento della Cisgiordania nello Stato ebraico.
Così, si saldano le antiche aspirazione degli Ebrei ortodossi ebrei alla costruzione del “Grande Israele, dal Nilo all’Eufrate” – al momento ridotto “dal Mare di Giordania al Mediterraneo” – con la sottomissione completa dei palestinesi.
Chi ha vissuto dagli anni ’90 del secolo scorso in poi, quasi convinto che il mondo potesse trovare nel Diritto condiviso a livello mondiale – cosa che sembrava intervenire con forza nelle relazioni tra le Grandi potenze e aiutare a risolvere crisi endemiche in aree come il Medioriente – non può oggi che tirare giù la saracinesca del “negozio” delle illusioni.
Così vengono fatti diventare carta straccia gli accordi sottoscritti anche da Israele nel corso degli anni. Soprattutto, quelli di Oslo del 1993, seguiti due anni dopo dalla nascita dell’Autorità della Palestina sotto cui passava l’amministrazione di Gaza e di larga parte della West Bank.
Israele va avanti a dispetto di tutte le richieste di raggiungere una pace equa, stabile e duratura perché può contare sull’apporto diretto dell’America di Donald Trump e su quella che è stata la compiacenza di molti governi europei, appena appena scossa dall’alto numero delle vittime di Gaza e dello stato di fame in cui vi è ridotta la popolazione.
La proposta del Parlamento israeliano, composto da 120 membri, è passata con un ampio margine, 71 a 13. I partiti di opposizione Yesh Atid e Blu e Bianco non hanno partecipato al voto, mentre i Democratici, Ra’am e Hadash-Ta’al, hanno votato contro la risoluzione.
L’esito del voto fa piazza pulita della teoria che esista l’Israele di Netanyahu, ma che, poi, ce ne sia pure un altro di Israele. Queste distinzioni sono cose del passato e bisogna farsene una ragione. Ce lo spiegano taluni sondaggi che ci dicono di come l’80% degli israeliani stiano oggi con il Primo ministro mentre il 27% sono convinti della necessità che l’esercito sia ancora più violento e sbrigativo contro i palestinesi. Cadono le braccia! Non c’è altro da commentare.
Siamo di fronte all’ennesimo salto di qualità della politica israeliana, conseguenza diretta del suo concepire le relazioni con i palestinesi solo in termini militari e di occupazione di terre. Una linea che è sempre stata sotto traccia tra gli israeliani che hanno come esclusivo punto di riferimento la Bibbia. E che, al tempo stesso, non intende riconoscere i “libri” degli altri.
Un qualcosa che aveva intuito Harry S. Truman, il Presidente Usa cui si deve, nel 1948, subito dopo Stalin, il riconoscimento dello Stato di Israele 11 minuti dopo il voto Onu che ne decretava la nascita. Egli sostenne che gli israeliani non avessero il senso delle proporzioni “né hanno alcun giudizio [sic] sugli affari mondiali”. Per poi aggiungere: “Gli israeliani, trovo, sono molto, molto egoisti. Non gli importa quanti estoni, lettoni, finlandesi, polacchi, jugoslavi o greci vengano assassinati o maltrattati come profughi, purché loro ricevano un trattamento speciale”. (CLICCA QUI).
Gli europei non hanno voluto sospendere pochi giorni fa gli Accordi di cooperazione della Ue con lo Stato ebraico. E in questo hanno avuto un ruolo decisivo la Germania e l’Italia, i cui governi si sentono, volenti o nolenti, gli eredi di chi introdusse le leggi razziali e il loro terribile carico di milioni di sterminati.
In questi giorni è in scena un’autentica saga dell’ipocrisia. Emmanuel Macron, per l’ennesima volta, annuncia che la Francia si accinge a riconoscere ufficialmente lo Stato della Palestina. Prima, lo doveva fare a giugno, adesso, a settembre. Ma comunque sempre nell’augusta sala delle Nazioni Unite. Gli altri europei vanno in ordine sparso. La Germania bloccata dai suoi fantasmi del suo passato. L’Italia, con Giorgia Meloni ed Antonio Tajani continuano a “farfugliare” sulla necessità del dialogo. Loro chiacchierano e gli altri fanno, versione moderna della Sagunto espugnata mentre a Roma si discute.
E intanto sulle nostre reti tv va in onda la grande “distrazione di massa” privilegiando ed enfatizzando le solite piccole cose del nostro sistema politico per mettere sotto il tappeto le vere notizie da cui può più che mai dipendere un futuro ancora dalle tinte più cupe.
L’unica nota di speranza – almeno per noi educati da un altro “Libro”, quello che cancella la vendetta – viene da Padre Romanelli, che come pubblichiamo a parte (CLICCA QUI) dice: “la Via Crucis di Gaza vedrà un giorno la gloria della Risurrezione”.
Giancarlo Infante