Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza, si prepara a celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione con una visita speciale: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà infatti nel capoluogo ligure e si recherà dove fu firmata la resa delle forze tedesche, la villa Migone nel rione San Fruttuoso.
Una circostanza rende quel momento unico e l’anniversario odierno particolarmente significativo: a ricevere la resa non furono gli Alleati ma il Comitato di Liberazione Nazionale della Liguria. Il punto 2 dell’accordo bilingue di resa delle “Forze Armate Germaniche di terra e di mare” prevedeva infatti che queste ultime procedessero “mediante presentazione ai reparti partigiani più vicini … in primo luogo con la consegna delle armi”.
Si può quindi dire che Genova fu una città che si liberò da sola (un suo illustre cittadino, Giuseppe Mazzini, aveva scritto del resto “più che la schiavitù, temo la libertà recata in dono”; e sulla testata del giornale clandestino “il Ribelle”, edito dai Resistenti cattolici lombardi “come e quando può”, campeggiava il motto “non esistono liberatori, ma solo uomini che si liberano” – … e donne, aggiungeremmo giustamente oggi non dimentichi del ruolo che le Resistenti ebbero prima, durante e dopo la Liberazione).
Già dai primi giorni di Aprile la situazione di Genova si andava chiarendo nelle sue prospettive strategiche: l’avanzata alleata oltre la linea Gotica, lungo l’Adriatico e l’Appennino tosco-emiliano, comportava una concentrazione di forze su quel (doppio) fronte e superava i precedenti piani d’attacco lungo la Riviera di Levante, rendendo sostanzialmente inutili le robuste difese (ancor oggi visibili in diversi punti, ad es. sul Monte di Portofino) approntate dall’esercito italiano sulla linea La Spezia – Genova dopo i bombardamenti aeronavali del 1941-42 e completate dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943.
Le forze tedesche presenti in Liguria erano però numerose, ben armate ed efficienti, anche se di fatto isolate con lo sfondamento del fronte lungo l’asse Firenze-Bologna e con la presa di controllo da parte delle brigate partigiane degli accessi principali da nord, per il passo dei Giovi e la val Polcevera (le truppe americane erano ferme alla Spezia).
Il deterrente in mano agli occupanti era la concreta possibilità di bombardare la città da monte e di far saltare in aria le strutture del porto (i cannoni erano puntati, le cariche erano state collocate ed il piano di distruzione – identificato dalla lettera Z, forse da zerstören, distruggere? – era firmato dallo stesso Hitler), per cercare di aprirsi la strada verso Milano, anche a prezzo di altri gravi spargimenti di sangue oltre a quelli che già si stavano producendo sui monti e nelle città liguri: una prospettiva altamente inquietante per tutti.
In quel contesto si intensificarono i contatti fra il comando tedesco, affidato al generale Günther Meinhold (saggio ufficiale della Wehrmacht), ed esponenti vicini alla Resistenza (inizialmente stabiliti dai professori dell’Università Giampalmo e Romanzi): un forte impulso ai negoziati venne dall’Arcivescovo di Genova, il gesuita card. Pietro Boetto, che dopo il danneggiamento dell’Arcivescovado per i bombardamenti alleati si era trasferito nella villa Migone, situata fuori dal centro e idonea ai suoi spostamenti (essendo gravemente cardiopatico, non poteva salire scale ed era stato quindi ricavato per lui un alloggio con studio, raggiungibile in piano dall’attigua villa Imperiale, dotata di accesso carrabile).
Dell’impegno della Diocesi genovese resta documentazione nell’edizione straordinaria del quotidiano cattolico genovese “il Nuovo Cittadino” del 13 maggio 1945, che riporta i testi delle accorate lettere inviate dall’Arcivescovo ai comandanti tedeschi ed il suo racconto degli ultimi giorni di guerra – riscontrato, fra gli altri, dai diari del generale Meinhold e di Remo Scappini, operaio comunista dell’Ansaldo e presidente del CLN Liguria, che controfirmò la resa.
Una prima richiesta tedesca di consentire la ritirata delle proprie truppe (senza consegna delle armi) in cambio della rinuncia alla distruzione del porto non era stata accolta dal CLN (che aveva comunicato tramite il prof. Taviani, poi Ministro della Repubblica, ed il Vescovo ausiliare mons. Siri, poi cardinale); nella notte fra il 23 ed il 24 aprile era stato quindi dato l’ordine di insurrezione cittadina e i primi scontri si stavano accendendo. La difficoltà della trattativa finale era aggravata dal fatto che il Comando tedesco si trovava a Savignone, oltre l’Appennino, e che le strade da e per Genova erano interrotte da posti di blocco che comportavano pericoli di “fuoco amico” per tutte le persone che cercavano di realizzare l’accordo (e quest’ultimo non era ancora definito in tutti i suoi dettagli …).
Con notevoli peripezie il generale Meinhold giunse in un’ambulanza, accompagnato dal suo Capo di Stato Maggiore e scortato da una staffetta partigiana in motocicletta, alla villa Migone, individuata come sede del “round” finale: da un altro ingresso (la villa ne aveva ben 4 all’epoca!) arrivò la delegazione composta da Scappini, dai componenti del CLN Errico Martino e Giovanni Savoretti (democristiano e liberale, a riprova della coesione fra tutte le forze antifasciste, che il CLN impersonava) e dal maggiore Aloni, comandante della piazza di Genova.
Nel tardo pomeriggio del 25 aprile dal vecchio campanile della chiesa di s. Fruttuoso arrivò il suono che annunciava la firma dell’accordo: a partire dalla mattina del 26 i tedeschi disarmati sfilarono per le vie di Genova, scortati dai partigiani, per raccogliersi in vista del ripiegamento verso Nord (dove sarebbero stati consegnati agli Alleati). Questi ultimi, arrivati due giorni dopo, trovarono che in città i tram funzionavano.
L’interprete del comando tedesco, fervente nazista, si suicidò nella notte; il generale Meinhold fu informato l’indomani della sua condanna a morte, disposta dal Führer in persona: ma, così conclude il suo diario, “la cosa mi lasciò indifferente”: tre giorni dopo, del resto, sarebbe stato Hitler a porre fine ai propri giorni.
Agostino Migone de Amicis
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