Il Vangelo odierno (di sabato 23 novembre per chi legge): In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 33-37 – XXXIV TO/B Cristo Re).
Una delle parole del momento è “sovranismo”. E’ in coppia con un’altra malattia politica: populismo. Non so quanti cristiani abbiano mai pensato che il Vangelo è anche annuncio per coloro che vogliono pensare e fare la politica. Lo è, in particolare, questo brano: il colloquio tra Gesù e Pilato, che è una fonte inesauribile per coloro che vogliono capire un po’ più di potere e rischi annessi e connessi. Meditarci su, nella domenica in cui celebriamo la festa di Cristo Re è un ottimo modo per togliere la festa da un ritualismo vuoto e fuori luogo. Certo Gesù è re, lo è e lo resterà sempre, fino alla fine dei tempi e oltre. Tuttavia questo re non è fuori del tempo, è qui tra noi e ha molto da insegnare ai poteri e ai cittadini di questo mondo.
Il miglior commento, che abbia mai letto, al dialogo tra Gesù e Pilato, è il testo di Gustavo Zagrebelsky: “Crucifige e la democrazia” (Einaudi). L’autore descrive il dialogo tra Gesù e Pilato come l’eterno scontro tra chi serve la democrazia e chi se ne serve, tra le ragioni del potere, della forza, dell’ideologia, del fondamentalismo, e quelle della ricerca comune, del dialogo attento, della mitezza e insieme dell’intransigenza. In questi giorni, in cui le nostre democrazie si interrogano, sulla loro natura, perché scosse violentemente da terrore e guerra e messe alla prova da populismi e sovranismi, le lezione assume una sua drammaticità e pregnanza.
Zagrebelsky spiega che l’intero brano porta a individuare almeno tre modi di intendere la democrazia. Il primo è quello della “democrazia dogmatica”: sostenuta da chi, come Caifa, come ogni autorità dogmatica, “difende se stessa difendendo il dogma e viceversa, onde non si può mai sapere con sicurezza se il potere serve il dogma, o se il dogma serve il potere”.
Ci sono, poi, i seguaci della “democrazia scettica”, come Pilato. Per l’autore “lo scettico, poichè non crede in nulla, può tanto accettare la democrazia quanto ripudiarla. Se è davvero scettico, non troverà nessuna ragione per preferire la democrazia all’autocrazia. O meglio, troverà una ragione non nella fede in qualche principio, ma in una convenienza. Potrà cioè essere democratico, fino a quando lo sarà, non per idealismo ma per il realismo del proprio interesse, cioè per opportunismo.”
Infine ci sono coloro che credono nella “democrazia critica”: “A questi due modi di pensiero – opposti nel fondamento ma convergenti nella strumentalizzazione – una teoria come fine e non solo come mezzo deve saper contrapporne un altro, che non presuma di possedere la verità e la giustizia ma nemmeno ne consideri insensata la ricerca. E’ questo il pensiero della possibilità che è proprio di coloro che rigettano tanto l’arroganza della verità posseduta quanto la rinuncia della realtà accettata”.
Ovviamente il libro è molto più ricco di queste brevi citazioni. Il testo può essere un ottimo aiuto per non cadere nelle trappole delle democrazie malsane e degeneri. Gesù è ben cosciente che il “suo Regno non è di questo mondo”, eppure ha molto da dire sulle nostre democrazie. Quando il nostro modo di concepire e vivere il potere è molto simile a quello di Caifa o di Pilato o del popolo sobillato, stiamo tradendo il Signore, stiamo tradendo la democrazia.
Rocco D’Ambrosio