Uno dei più gravi danni portati al Paese con la fine della cosiddetta Prima repubblica è stato sicuramente la distruzione di quell’importante reticolo di banche piccole medie, di casse di risparmio, di imprese dedite alla raccolta e al credito locale, che aveva supportato lo sforzo imprenditoriale di una realtà caratterizzata da un tessuto produttivo d’impronta familiare, di piccole e medie aziende che avevano, come hanno oggi, il bisogno di interloquire con chi, al di dietro di uno sportello, le conosce davvero. E non di un algoritmo o di sistemi gestionali che non tengono conto delle qualità umane e imprenditoriali che gli italiani hanno saputo sempre dimostrare.
Trent’anni fa, nacque la necessità del cosiddetto “gigantismo bancario” perché, così veniva detto, anche con una qualche verità significativa, che il sistema aveva comunque bisogno di chi sapesse e potesse competere con le più grandi strutture finanziare del resto del mondo. Ma questo ha significato un costo pesante per determinate fasce della società e di talune regioni, soprattutto quelle del Mezzogiorno e del Centro Italia. Le difficoltà del credito, conseguenti anche a nuove regole internazionali necessarie per contrastare le ripetute bolle speculative succedutesi negli ultimi trent’anni, ed alla distanza sempre più ampia che si veniva a creare tra i vertici delle banche e i territori, ci fa trovare dinanzi alle difficoltà di imprenditori e di famiglie.
E sullo sfondo resta questo il progressivo distacco tra sistema finanziario e sistema industriale che suscita la non banale la domanda di tanti analisti su cosa possa giustificare l’aquisizione da parte di Unicredit della Banca Popolare di Milano e sulle garanzie offerte, da quello che diventerebbe il quarto gruppo europeo, per le aree finora occupate da Banco Bpm.
Nessuno nega la necessità del “gigantismo”, ma questo non può andare a discapito ancora una volta della rete delle nostre piccole e medie imprese che rischia di vedersi ancora di più in balia del mercato della finanza internazionale.
BPM è uno dei pochi rilevanti istituti di credito che restano dei tanti nati da una gloriosa radice popolare e, non a caso, tuttora rappresenta in taluni territori – in modo particolare in Lombardia – un punto di riferimento importante e rassicurante per le famiglie e per le imprese medio-piccole.
Il problema, dunque, è cogliere l’esistenza delle criticità dei rapporti tra banche e società civile ed economica reale per andare verso una nuova legge bancaria in grado di trovare un punto di equilibrio tra due tendenze ambedue legittime e reciprocamente necessarie.
Ancora una volta, però, rischiamo di affidarci a delle vuote speranze. Perché, anche in questa occasione, la “coesa” maggioranza ci presenta i propri alfieri l’un contro l’altro armato. E, come suo solito sulle cose davvero importanti, la Presidente del consiglio che tace, venendo meno ad un dovere fondamentale assunto nei confronti del Paese che, del tutto legittimamente, vorrebbe sapere dove stiamo andando. La vicenda Bpm merita un risposta in una prospettiva di ben una più ampia visione che riguarda il futuro di tutti gli italiani.