Giorgia Meloni sta pagando la smagliante vittoria, ottenuta in buona misura a scapito degli alleati, con il tormentone di una ricerca della “quadra” – come dicono i leghisti – che le costa una dura fatica ed ancora non è giunta in porto. Con buona pace di coloro che invocano un sistema politico-istituzionale tale per cui la sera stessa del voto si conosca chi sia il Capo del governo, investito della facoltà di procedere senza tanti riguardi ai bizantinismi e alle schermaglie tra gli attori della scena politica.

Mai come questa volta lo si sapeva addirittura prima ed, in ogni caso, appena aperte le urne. Non a caso, infatti, la Meloni si muove esattamente come se l’incarico le fosse già stato formalmente conferito.

Eppure le difficoltà persistono e comunque hanno investito nientemeno che la seconda carica dello Stato, di cui a meno di ventiquattr’ore dall’apertura della legislatura pare non vi sia ancora una candidatura ufficiale da parte della coalizione vincente. E pure attorno alla numerosità delle delegazioni di ciascun partito al governo, si sta discutendo animatamente. Esattamente come succedeva nella deprecata Prima repubblica.

Né lo stallo concerne la “bottega” dei ministeri di seconda linea, bensì – dagli Esteri agli Interni, dall’Economia alla Difesa, dalla Giustizia, alla Salute ed alla Pubblica Istruzione – ministeri per i quali la Meloni fa benissimo ad essere molto attenta. Sa, infatti, che in una maggioranza percorsa da vistose crepe, che il suo successo elettorale ha ampliato, il titolare di un certo dicastero, di fatto, fa la politica di quel settore e rischia di risponderne più a chi lo designa, o addirittura lo impone, piuttosto che a chi guida il governo.

Non a caso si discute seriamente di “competenti” – o almeno di soggetti “adatti” che abbiano, cioè una certa attinenza con l’ ambito tematico di quel certo ministero – ma anche di “fedelissimi”. Almeno, tanto quanto sono fedelissimi i parlamentari designati dalle segreterie.

Intanto – notizia di ieri – Salvini e Berlusconi affogano le loro delusioni in vertici bilaterali. Del resto Giorgia Meloni deve capire che un conto è strapazzare Salvini – che all’uopo è in grado di provvedere da solo, come ha dimostrato al Papeete – altra cosa detronizzare Berlusconi.

Domenico Galbiati

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