Oggi è l’anniversario della morte di Giorgio La Pira avvenuta il 5 novembre del 1977. In questa occasione pubblichiamo il seguente articolo di Nino Giordano

Per Giorgio La Pira la politica era un gesto d’amore, il modo più concreto per contribuire al bene comune. Viveva il presente come un tempo “carico di futuro”, illuminato dalla fede nel Cristo risorto: «Se Cristo non è risorto, siamo tutti senza speranza». Credeva nella forza della preghiera e nella sua capacità di trasformare la storia.

Nonostante i gravi problemi economici e sociali che lo impegnavano – come diceva – «dall’alba al tramonto», La Pira riuscì a convocare, tra il 21 e il 27 giugno 1953, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, il II Convegno per la pace e la civiltà cristiana, dedicato al tema Preghiera e Poesia.

Parteciparono rappresentanti di 42 Stati, tra cui quelli dello “spazio di Abramo” (Israele, Egitto, Libano e le nazioni cristiane) e delle “grandi civiltà metafisiche orientali” (Filippine, Giappone, India, Laos, Thailandia, Vietnam). Tra i relatori figuravano padre Jean Daniélou, Giuseppe Ungaretti e George G. Fox. Particolarmente significativa fu la presenza del poeta egiziano Taha Hussein, ministro dell’Educazione, che strinse con La Pira una profonda amicizia.

L’Italia era rappresentata dall’onorevole Amintore Fanfani, ministro dell’Agricoltura, e dall’onorevole Paolo Emilio Taviani, sottosegretario agli Esteri; per la Santa Sede intervennero monsignor Alberto Castelli, vescovo titolare di Gerico, e il professor Francesco Vito. Nel suo discorso conclusivo, La Pira scosse i convegnisti con parole di grande intensità morale e spirituale: «Voi siete, per definizione – perché uomini aggravati dal peso quasi divino delle pubbliche responsabilità – coloro che sono chiamati a scrutare con attenta vigilanza, come l’Evangelo dice, “i segni dei tempi”. […] Davanti a spettacoli di tanta sofferenza, come potreste occuparvi di preghiera e poesia se non fossero, invece, i temi più urgenti del tempo presente?

Togliete dalla scala dei valori umani la preghiera e la poesia, e avrete il materialismo dialettico e storico: quella costruzione sociale ed economica che genera per tanti popoli l’oppressione più paurosa. La pace vera, duratura, è una risultante: implica tutti i valori e, anzitutto, quelli di vertice – preghiera e poesia – nel senso più vasto che i due termini possono comportare.»

Dalla Firenze dei convegni partì allora il suo invito pressante agli Stati “secessionisti”, un appello audace e pieno di speranza: «Perché non accettate anche voi l’asse ideale della civiltà cristiana e umana? Perché non ridate ai vostri popoli la libertà, la preghiera – che è di Dio, che è Dio – e la poesia? Perché ripudiare le basi comuni di una civiltà millenaria, condannandovi all’isolamento, alla sterilità e alla paura?»

La Pira sentiva di essere nato per diventare messaggero di amicizia tra i popoli. La profezia di Isaia era la chiave della sua interpretazione della storia: «C’è una strategia di Dio, una geografia di Dio, una storia di Dio», scriveva al presidente Gronchi. Per lui, i popoli e le nazioni – cristiane, musulmane ed ebraiche – erano portatori dello stesso mistero religioso. Le tre civiltà monoteiste innalzano insieme la lampada della fede in Dio come luce essenziale per l’intera famiglia umana. Amava ripetere: «La pace di Gerusalemme è la pace del mondo intero.»

Per questa ragione promosse a Firenze, oltre ai Convegni dei sindaci delle capitali del mondo, anche i Convegni per la pace e i Colloqui mediterranei.

Il 5 ottobre 1960, al termine del convegno Il Mediterraneo e il suo avvenire, lo immaginiamo mentre percorre le vie di Firenze accanto al filosofo ebreo Martin Buber, convinto sostenitore della convivenza tra la comunità ebraica e quella araba.

Buber: Professore, lei pensa al Mediterraneo come al lago di Tiberiade; io mi limito a un territorio più piccolo, come la Palestina.

La Pira: Naturalmente, con la partecipazione dello Stato d’Israele.

Buber: Israele dovrebbe far parte di una federazione tra gli Stati mediorientali. In questo senso, molto potrebbe fare l’Europa.

La Pira: L’Europa è il direttore d’orchestra della civiltà mediterranea, come dice il mio amico poeta Senghor: aperta alle frontiere africane e orientali, a musulmani e non musulmani.

Poco dopo, i due incontrano Valensin, un ebreo che si avvicina commosso: «Professore, sono venuto al convegno solo per lei! Mi chiamo Valensin, sono ebreo. Durante la guerra lei mi ha salvato, insieme a molti altri.»

La Pira gli stringe la mano: «Caro, ti ringrazio. Ma ricordate tre persone nelle vostre preghiere: don Giulio Facibeni, il cardinale Elia Dalla Costa e padre Cipriano Ricotti del convento di San Marco. Non potete immaginare quante vite hanno salvato.» Valensin risponde: «La ringraziamo per la sua sincera amicizia verso la nostra comunità.»

A quel punto interviene Omar, uno studente palestinese: «L’ho sentita parlare di dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani, ma oggi mi pare molto difficile.» La Pira (sorridendo): «”In Abramo si radicano tre famiglie: ebrei, cristiani e musulmani. Non è un’utopia, ma una necessità.”

Nino Giordano

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