Sono lettere intense, di grande spessore culturale e politico, da cui emergono un’analisi e una conoscenza del mondo profonde, quelle raccolte nelle novecento pagine dei due volumi di “Anarchico a Dio solo soggetto, Carteggio tra Giorgio La Pira e Amintore Fanfani (1949-1977)”, edito da Polistampa. Sono 394 le missive scambiate tra il “sindaco santo” e il più volte ministro e presidente del Consiglio, oltre che primo italiano eletto presidente dell’Assemblea generale dell’Onu sessant’anni fa. Interris.it ha intervistato il curatore dell’opera, il professore emerito di Storia contemporanea dell’Università Cattolica Agostino Giovagnoli, .

Lo storico Agostino Giovagnoli (foto © Sara Minelli/Imagoeconomica)

Alleanza

Il rapporto umano, politico e spirituale tra i due è stata un’alleanza tra due persone che hanno ricevuto un mandato più grande anche delle loro cariche. “La loro è stata un’amicizia profonda anche attraversata da momenti di confronto severo”, racconta lo storico. “La Pira sosteneva che la loro era un’alleanza in quanto entrambi avevano ricevuto un mandato superiore, che veniva da Dio, e gli imponeva dei doveri più grandi di quelli indicati dalle cariche che ricoprivano – tant’è che di sé diceva di essere un testimone ‘anarchico a Dio solo  soggetto’”. “Fanfani non sempre condivideva questa radicalità”, aggiunge il professore.

Fede e politica

Per entrambi il legame tra la fede cattolica e la politica, che Paolo VI aveva definito la più alta forma di carità, è stato forte, seppure in modi differenti. “La Pira ha sempre perseguito un grande disegno di geopolitica spirituale”, spiega Giovagnoli, “vedeva negli eventi della storia la presenza di Dio e ha cercato di trasmettere questa coscienza profonda non solo a Fanfani, ma anche ad altri dirigenti della Democrazia cristiana”. Più legato all’immediatezza della politica e al senso di responsabilità il suo interlocutore, per via del ruolo delle diverse cariche istituzionali ricoperte.

Uomini di pace

Se la radicalità “anarchica” contraddistingueva La Pira e la responsabilità Fanfani, quest’ultimo è stato però anche uomo di pace in un periodo storico segnato dalla contrapposizione dei blocchi occidentale e orientale. “Fanfani è stato un uomo di pace sia nella durante la crisi dei missili di Cuba nel 1962 che in seguito, tanto venir eletto presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni unite proprio perché è stato riconosciuto il suo agire per la pace, non solo tra Est e Ovest ma anche tra Nord e Sud del mondo”, osserva l’esperto. Grazie anche alle prospettive che gli indicava il sindaco di Firenze in un’integrazione tra politica e visione storico-religiosa.

Guardare lontano

La loro grande spinta era la fede. “Prima di essere dei politici, erano cristiani”, puntualizza Giovagnoli. Capaci di fare scelte controcorrente quando c’era il rischio che la Guerra fredda si facesse calda. “La fede gli dava uno sguardo più lungo e il coraggio di resistere al conformismo”.

Eredità

Il carteggio tra i due è andato avanti per quasi tre decenni in un’alternanza di temi e toni, ma sempre all’insegna del rispetto anche nelle divergenze. Oggi nella comunicazione politica sembra prevalere la polemica. Lo storico lo spiega sostenendo che “la classe politica è priva di un progetto, così cerca la battuta efficace e va avanti a forza di dichiarazioni”. Degli eredi, forse, Fanfani e La Pira non ne hanno lasciati, “ma il loro insegnamento è ancora attuale perché in questo mondo in guerra abbiamo bisogno di uomini di pace”, conclude lo storico.

Pubblicato su www.interris.it

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