La costruzione di una convergenza tra i vari attori che si muovono nella galassia di gruppi, associazioni, centri culturali o quant’altro di varia natura, in vista della riproposizione di un soggetto nuovo che avvii la “terza fase” dell’impegno politico dei cattolici-democratici nel nostro Paese, è qualcosa che va oltre la cosiddetta ricomposizione della “diaspora” e tende ad una reale “trasformazione” del nostro sistema politico.
Si tratta di un processo, ad un tempo, più ambizioso e meno scontato, che – non sembri un paradosso – può riuscire anche senza riassorbire compiutamente la “diaspora” oppure può fallire, pur riportando tutte le frazioni e le schegge in cui si è sfrangiata ad un approdo comune… e, magari, proprio per questo… Ovviamente – questo va chiarito in premessa – nessuno va escluso e tanto meno rottamato ( se mai collocato nella posizione più pertinente perché continui a dar frutto), da qualunque esperienza provenga, dal centro-destra piuttosto che dal centro-sinistra, degli ultimi trent’anni.
Purché ci si metta sulla strada giusta e quale sia questo cammino appropriato nessuno lo decide da solo, per conto o a scapito di altri. Se ne discute, non, però, nel senso di un compromesso che sia aleatorio quel tanto da andar bene a tutti. Se mai, alla ricerca di una mediazione che esprima quel più di intelligenza politica da renderla sovraordinata alla pluralità delle opinioni particolari di ciascuno quel tanto che basta da ricomprenderle tutte o quasi. Più facile a dirsi che non a farsi, cosicché a quel punto ognuno torna a bomba e riflette per conto suo se il percorso individuato corrisponda o meno alle sue originarie aspirazioni, cosicché ci si impegna oppure no, oppure attende di osservare i primi sviluppi del processo prima di sciogliere la riserva.
Insomma, un percorso sinceramente aperto a tutti, ma puntuale, rigoroso e severo, non meramente organizzativo, bensì “politico” in senso forte e, quindi, selettivo, non in termini pregiudiziali nei confronti di nessuno, ma piuttosto, e seriamente, in ordine al dato strategico che si intende mettere in campo. Un percorso che si sviluppa in itinere nella misura in cui non è calato dall’alto, bensì si insedia nei territori che riusciamo a raggiungere e, quindi, prende il tempo necessario perchè maturino le libere, spontanee adesioni degli amici che – ciascuno “personalmente” e non per aggregazioni precostituite – decidono di correre questa avventura.
Non si tratta di ricucire i lembi di un otre vecchio che, fin da allora, non ha retto alla fermentazione di un vino nuovo.
Ma, piuttosto – come ha inteso fare il Manifesto di Politica Insieme, condiviso da altre associazioni ( CLICCA QUI ) – e’ il momento di riannodare il meglio di una tradizione politica consolidata, che da Sturzo decorre fino a De Gasperi ed a Moro, e declinarla nel tempo nuovo che ci è dato, secondo uno spirito di sincera amicizia, sapendo che quest’ultima per essere vera va accompagnata da altrettanta franchezza, a costo di essere talvolta ruvidi. Tutto ciò implica l’ adozione di un indirizzo che non sia orientato ad una operazione -chiamiamola cosi…si fa per dire – di “potere”.
Non si tratta, cioè, di ricomporre un segmento del vecchio arco politico-partitico e di ricollocarlo, più o meno forzosamente, nello sconfortante concerto delle forze attualmente in campo, per ricavarne qualche “strapuntino”, in qualche livello istituzionale e fosse pure in Parlamento. Si deve, piuttosto, introdurre in questo sistema sghembo, almeno alcuni elementi di valutazione oggettiva e di possibile razionalità che ” trasformino” l’impianto che regge un confronto politico-democratico così straordinariamente povero, rissoso e pregiudiziale, rigido ed improduttivo, incapace di partorire almeno le postazioni classiche di una destra liberale e democratica e di un sinistra moderna, che sia in grado di leggere i nuovi caratteri della domanda sociale.
Insomma, dobbiamo assumere, piuttosto, un compito di “verità”, anche se quest’ ultima è una parola grossa da spendere in un contesto politico, laddove, però, indica, se non altro, i “valori”, non declamati in senso astratto, ma intesi come “ciò per cui valga la pena vivere”, quindi quei riferimenti concreti di cui è intessuta la vita “vera” di tutti i giorni. Certo, le divaricazioni che si sono accumulate in questi anni pesano, al punto che anche il lessico in uso va rivisitato e ricomposto secondo un intendimento comune, altrimenti rischiamo di non capirci, anche perché ricorriamo a parole ossificate da un uso datato e prive della freschezza necessaria perché possano essere ancora espressive.
“Centro”, ad esempio, oggi cosa significa? Evoca ancora quell’antico adagio latino secondo cui “in medio stat virtus”, cosicché la sua effettiva collocazione entro l’arco delle soluzioni possibili rischia di dipendere, di volta in volta, dalla dislocazione delle estreme, in una logica di aggiustamento aritmetico che non porta da nessuna parte ? Anche questo è successo, per quanto, al contrario, nelle stagioni migliori della cosiddetta “prima repubblica” , il “centro” abbia sviluppato, un ruolo motore e di forte innovazione, nella misura era espressione di una cultura politica fortemente caratterizzata, fondata su valori propri, originale ed autonoma. Ma se è cosi fin da allora, a maggior ragione – come Politica Insieme insiste da tempo – parliamo, piuttosto, espressamente di “autonomia”, cioè di una posizione politica che ha una sua fisionomia inequivocabile, in termini sia di principi e di valori assunti a proprio fondamento, che di metodo e di contenuti dell’azione politica. Con il che, le prese di posizione che da tale autonomia discenderanno, a fronte, per di più, della radicale novità tematica che siamo chiamati ad affrontare, potrebbero talvolta apparire più vicine, ad esempio circa le questioni di carattere etico inerenti la vita, al sentimento di una certa destra, talaltra, in particolare in ordine a giustizia sociale e parità dei diritti, più sintoniche alla sinistra.
In effetti ciò che andrà osservato, sarà, piuttosto, la coerenza interna tra i vari contenuti assunti, ad esempio nel senso di quella ricomposizione, nel campo stesso dei credenti, tra ” quelli del sociale” e “quelli dell’ etica”, secondo l’invito che da tempo ci è stato autorevolmente rivolto. Insomma, reinterpretiamo il “centro” come “autonomia” e, dunque, autorevolezza culturale, anzitutto, fondamento di altrettanta autorevolezza politica. Ciò corrisponde, del resto, al processo che stiamo attraversando in questa fase, passando dal Manifesto alla sua declinazione programmatica.
Analogamente, anche le parole della “moderazione” vanno sottratte ad un cattivo impiego che nel tempo le ha snaturate, facendole apparire grige, timide ed opache. Anch’esse vanno reinterpretati in termini di “competenza”, cioè capacita’ di stare dentro la realtà oggettiva delle cose, assumendone la complessità in tutti i suoi risvolti e, infine, quale attitudine a “governare” nel senso proprio del termine, cioè non tanto ricorrendo ad un “decisionismo” autoritario, ma piuttosto promuovendo la consapevolezza e la condivisione dei destinatari delle determinazioni che via via si assumono.
Peraltro, la “competenza”, nella vastissima pluralità e nella novità emergente dei suoi versanti, esige che una forza politica che voglia farsene carico, debba avere un impianto non leaderistico, bensì collegiale ed una classe dirigente fatta di giovani. Insomma, oggi una forza di ispirazione cristiana viva e vera non può prescindere da autonomia, competenza, giovani politicamente responsabili.
Domenico Galbiati

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