Fino a poco tempo fa questi due problemi dello spopolamento e della fuga dei giovani all’estero riguardavano solo il Mezzogiorno. Ora queste due “ calamità sociali” incominciano a lambire anche il Nord. Due emergenze che ci costringono ad una severa autocritica. Questi problemi infatti non riguardano più solo il  ricco Nord o il Sud povero;  non richiamano solo le responsabilità di chi governa oggi o di chi ha governato ieri.  Sono questioni di portata storica. Che riguardano il futuro  del nostro Paese e delle sue nuove generazioni.

È notizia di questi giorni che la Camera di Commercio di Varese – uno dei territori più ricchi, industrializzati e dinamici del Nord Italia – ha offerto seimila euro a fondo perduto ai giovani che vogliano  trasferirsi e lavorare in città. Che significa tutto questo?  Vuol dire che la questione dello spopolamento e della fuga dei giovani all’estero riguarda l’intero Paese. Ma al Sud, dove questo fenomeno ha assunto, da tempo, i contorni di un dramma strutturale, il rischio è che non ci sia più nemmeno il tempo per accorgersene. Si sta giocando una partita decisiva non solo per il destino delle regioni meridionali, ma per l’equilibrio economico e sociale dell’intera nazione.

Negli ultimi decenni, il Mezzogiorno ha perso milioni di abitanti. I giovani – soprattutto i più qualificati – se ne vanno. Non trovano lavoro o, se lo trovano, è precario, sottopagato, poco gratificante. E la fuga non si arresta. Si va via per ambizione, per sopravvivenza, per disperazione. In cambio, le istituzioni offrono incentivi frammentati, case simboliche a un euro, progetti-pilota, bandi una tantum. Ma non si trattengono le persone con un bonus. Si trattengono – e si attraggono – con prospettive concrete, stipendi dignitosi, servizi efficienti e una narrazione positiva del futuro.

Oggi, un infermiere in Germania guadagna il triplo rispetto a un collega italiano. Un professore universitario in Francia ha uno stipendio doppio di quello di un docente nel nostro Sud. Eppure, si continua a ignorare il cuore del problema: in Italia, e soprattutto al Sud, il lavoro non solo scarseggia, ma vale poco. Non solo in termini economici, ma anche in termini di dignità, stabilità, riconoscimento sociale. È paradossale: il nostro Paese è l’unico in Europa dove i laureati guadagnano meno di chi ha il diploma. Come possiamo pensare che un giovane, dopo anni di studio e sacrifici, scelga di restare dove il merito è irrilevante?

Di fronte a tutto questo, servono scelte coraggiose. Serve immaginare un nuovo Mezzogiorno, non come succursale sottosviluppata del Nord, ma come laboratorio di innovazione, sostenibilità, qualità della vita. Un Sud che non imiti, ma che anticipi. Che sappia valorizzare il suo patrimonio culturale, ambientale e umano come leva per attrarre giovani, creativi, lavoratori italiani ed europei. Come? Ad esempio, istituendo zone economiche speciali in tutti i comuni del Sud sotto i 50mila abitanti, con fiscalità ridotta e burocrazia snella. Oppure lanciando un vero “Erasmus del lavoro italiano”, per incentivare giovani del Centro-Nord a fare esperienze professionali nel Sud.  O ancora, finanziando start-up civiche per la rigenerazione di spazi pubblici e promuovendo cooperative giovanili. E perché non pensare a una Agenzia nazionale per il ripopolamento del Mezzogiorno, che coordini progetti, risorse e competenze a lungo termine?

Non servono nuovi convegni sul “ritardo del Sud”, ma una strategia nazionale che metta al centro le persone, non solo le opere pubbliche. Perché i ponti, le strade, i fondi strutturali servono, ma da soli non bastano. È tempo di costruire un patto generazionale, che restituisca fiducia a chi è nato nel Sud e a chi potrebbe sceglierlo come terra in cui vivere e lavorare. Non per nostalgia, ma per convinzione.Il Sud può ancora essere un’opportunità, non solo un problema. Ma servono idee nuove, visione politica e investimenti veri. Non bastano i sei mila euro di Varese. E tantomeno le case a un euro. Per i giovani meridionali serve un  progetto ambizioso per il loro futuro. Serve un Sud in cui poter emigrare deve essere una libera scelta e non più una dannazione o un ingrato destino.

Michele Rutigliano 

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