Prendendo in prestito (al contrario) il titolo del celebre romanzo di Geoffrey Holiday Hall “La fine è nota”, questo numero di TUTTI Europa ventitrenta dedica un focus al dibattito in corso in Italia sulla riforma della giustizia proposta dal governo di Giorgia Meloni. Il Disegno di legge di riforma costituzionale ha iniziato l’iter parlamentare ed è stato già approvato dalla Camera con 174 voti favorevoli, 92 contrari e 5 astenuti. Ci saranno altri passaggi in Senato e alla Camera, ma sul testo è in corso uno scontro  durissimo tra maggioranza e opposizione, con la stragrande maggioranza dei magistrati, contraria alla riforma.

La separazione delle carriere

Il punto controverso della riforma riguarda la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici. Ma anche l’istituzione di due organi di autogoverno distinti: un Consiglio Superiore della magistratura giudicante e uno per la magistratura requirente; la composizione dei due organismi con una parte dei componenti estratta a sorte; l’istituzione di una Alta Corte disciplinare con giurisdizione su tutti i magistrati, sia giudicanti che requirenti; lo svolgimento di concorsi separati. Dove porterà lo scontro ? I partiti che sostengono il governo si sentono appagati per un risultato che alcuni tra loro, aspettavano da decenni. Ma a chi giova la separazione delle carriere tra chi, nei processi, sostiene l’accusa e chi giudica ? La giustizia nel suo insieme migliorerà ? E ancora: la riforma contiene minacce alla Costituzione ? Davvero, si vuole limitare il potere di indagine e di autonomia del pubblico ministero ? O piuttosto, il governo persegue una strategia di attacco a diritti dei cittadini e alla democrazia mediante altri provvedimenti come la legge sul premierato, quella sulle intercettazioni telefoniche, sui limiti alla libertà di stampa, sull’immigrazione, sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio ? Insomma ci sarebbe un disegno politico da portare a termine nel corso della legislatura per rendere il Paese più sicuro. La maggiore critica è che questo disegno non è la ricetta giusta, di cui ha bisogno l’Italia. E, tuttavia, nello scontro nessuna delle forze in campo ha messo in conto di perdere, nonostante la maggioranza dei cittadini appaia distaccata. E’una battaglia di civiltà che può segnare uno spartiacque tra il prima e il dopo. Che può definire nuovi lineamenti nell’organizzazione dello Stato. Non è solo la battaglia dei magistrati, ma di quanti hanno una visione dinamica dei principi della convivenza civile.

Lo sciopero del 27 febbraio

I magistrati sono in prima fila nell’opposizione alla riforma e la loro Associazione ha organizzato manifestazioni di dissenso in ogni parte d’Italia. Dall’8 febbraio scorso, Cesare Parodi, procuratore aggiunto a Torino, è il nuovo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Nell’incarico ha preso il posto di Giuseppe Santalucia già battagliero oppositore alla separazione delle carriere e con lui sono stati eletti i nuovi vertici dell’ANM.  Nonostante  questo rinnovo lo sciopero del prossimo 27 febbraio è stato confermato. Sarà una giornata difficile, ma il direttivo dell’ANM ha ribadito che  “è una riforma sbagliata che non migliora sotto alcun punto di vista il servizio giustizia ma che agisce solamente sulla magistratura e toglie garanzie a tutti i cittadini italiani. La separazione delle carriere determina l’isolamento del pm e ne mortifica la funzione di garanzia”. Rispettiamo le scelte del legislatore, ma “vogliamo lanciare nuovamente l’allarme per i rischi che questa riforma porterà con sé”. Lo stesso Parodi, ancor prima della sua elezione al vertice dell’ANM, aveva detto che non avrebbe rinunciato a nessuna strada per la difesa della magistratura. Sulle ragioni dello sciopero viene pubblicato a parte il documento approvato dal Comitato direttivo centrale dell’ANM il 18 gennaio. In Parlamento le opposizioni hanno giudicato pericolosa la riforma soprattutto per la divisione in due della magistratura, perché il pubblico ministero viene rafforzato dal un suo Csm: “l’esperienza dei Paesi nei quali c’è la separazione delle carriere è chiara: il Pm dipende dall’esecutivo” dice Deborah Serracchiani del Pd. Diciamo anche che nessun partito finora è riuscito a mobilitare i cittadini come lo scontro farebbe pensare?  Su tutto, infine,  aleggia l’ombra del vecchio progetto irrealizzato di Silvio Berlusconi, nonostante i lunghi anni di governo e la forza elettorale. Non ci è riuscito il Cavaliere forse perché aveva troppi conti aperti con la giustizia. O perché non aveva capito che in Italia non si mette mai la parola fine su nulla ? Forse anche stavolta.

Nunzio Ingiusto

Pubblicato su www.tuttieuropaventitrenta.eu/

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