Demofollia. La Repubblica dei paradossi: questo il titolo delle amare e ironiche riflessioni del costituzionalista Michele Ainis. Di “italica follia” parlava anche il grande Norberto Bobbio. In effetti, osservando le dinamiche della crisi del governo Conte 1 e Conte 2, troviamo elementi di emotività, di lotte personali con sbalzi di umore e fragilità della Repubblica parlamentare. Gli italiani ormai hanno visto, in un quarto di secolo, riforme, mezze riforme e controriforme ma non la trasformazione del sistema politico in senso europeo di rappresentatività, partecipazione e stabilità governativa per un futuro migliore dopo un lungo declino.

Cosa fare? Occorre ritrovare il senso del passato, dei valori costituzionali per proiettarsi in un futuro razionale di nuova prosperità. Le istituzioni dello Stato devono ritrovare un punto di equilibrio con un governo che non invada tramite decreti lo spazio legislativo del Parlamento, con una magistratura che non si sostituisca alla politica tramite sentenze, con un Parlamento impotente per la mancanza di partiti veri con programmi, alleanze e leadership diffuse e autorevoli, capaci di determinare con metodo democratico la politica nazionale. Lo Stato deve diventare una costruzione ordinata e sobria, in grado di contenere le passioni e di imbrigliare le forze in conflitto in una democrazia al contempo rappresentativa, partecipativa e decidente in tempi rapidi.

La follia altrimenti si impadronisce della cittadella pubblica, come abbiamo visto negli ultimi mesi, con cittadini sbigottiti e incapaci di comprendere i processi in atto.

Abbiamo bisogno di Politica, in altri termini, di riforma dei partiti. Non si tratta solo di riforme costituzionali. È una crisi etica, dei doveri di lavorare, educare i figli, votare, partecipare, pagare le imposte, essere fedeli alla Repubblica. Crisi morale, di razionalità, crisi di sistema. È il momento della creatività costituzionale con riforme puntuali che possono adattare la seconda parte della Costituzione a tempi complessi e difficili. Qualcuno propone il sorteggio per una quota della rappresentanza parlamentare.

Altri suggeriscono referendum a risposta multipla, recall di eletti immeritevoli, di far pesare il non voto nella determinazione dei seggi da assegnare, essendo il partito del non voto il primo. Innanzitutto occorre superare la insana teoria della capocrazia. È la stagione del Capo politico in un deserto di idee. Capilista bloccati, partiti del capo, nome del capo nei simboli. Insomma, un rompicapo. Eppure per Kelsen la democrazia è assenza di capi, come per Platone. Riuscirà il governo Draghi a farci fare la transizione ecologica, quella digitale e anche dai partiti del capo ai partiti di una leadership condivisa, pensante e progettuale? Fine dei partiti personali e delle persone partitiche? Ne abbiamo a sufficienza di militanti trasformati in cortigiani davanti al capo di turno. Identificare un partito con un padre-padrone è una caratteristica del populismo.

Occorre superare allora la legge elettorale Rosatellum, legge 165 del 2017, che impone di depositare, accanto al simbolo, il nome del capo della forza politica. In una Repubblica parlamentare poi, i governi si formano in Parlamento, in accordo con il presidente della Repubblica. Indicare un leader come futuro premier è un inganno verso gli elettori. Con il governo Draghi, in piena emergenza, dobbiamo passare dal primato della emozione e del pregiudizio a quello della ragione e del giudizio. Basta con le fake news che vanno perseguite con art.656 del Codice penale a causa della diffusione di notizie false e tendenziose, che turbano opinione pubblica e ordine pubblico. Occorre esigere obbligo di rettifica. La gentilezza, il rispetto dell’avversario politico devono tornare di moda, ben oltre la violenza verbale di capi, capetti e caporali. Altro aspetto è il superamento dell’anarchia delle primarie con una legge come in Gran Bretagna, Germania, Spagna, Austria. Una nuova legge elettorale, dopo la continua altalena tra maggioritario e proporzionale, Porcellum, Italicum, mai sperimentato e Rosatellum, si impone per dare insieme rappresentatività, governabilità e alternanza tra coalizioni di partiti. Questo esige un Paese normale rafforzando anche il difficile ruolo di controllo delle opposizioni. Insomma, pesi e contrappesi di una sana democrazia liberaldemocratica.

Abbiamo bisogno di maestri poi, e non di capi nei simboli di partito. Persone stimate, competenti, “magister” per senno e sapienza. Una classe dirigente nuova si vede anche dai libri che studia e non solo leggiucchia. Ricominciamo dall’istruzione premiando i capaci e meritevoli, non certo i mediocri fedelissimi del capo. Chi merita deve poter arrivare ai vertici dello Stato superando le barriere della plutocrazia che sostiene le spese elettorali con vari sponsor determinanti. Nessuno poi deve arrogarsi il potere di rappresentare tutto il popolo. Vige una concezione pluralistica della società come presupposto delle democrazie. La complessità dei problemi non può infine essere affrontata con messaggi rozzi, semplificati e demagogici.

Il 13 febbraio 2021 è nato il governo Draghi dopo il Conte 1 e 2. Un governo di responsabilità nazionale, fortemente voluto dal presidente della Repubblica in piena emergenza, con tutti i partiti rappresentati, fatta eccezione dei Fratelli d’Italia, che si pongono in opposizione costruttiva. Come valutare questo esito della crisi politica? Il noto opinionista ed economista civile Luigino Bruni invita a non beatificare Mario Draghi, prima della prova dei fatti. «È molto presto per incensarlo come stanno facendo molti cattolici e laici, la grande finanza non ha mai avuto molta attenzione per la sussidiarietà e le fasce più deboli» (Famiglia cristiana, 10 febbraio 2021). La sua formazione dai gesuiti, la presenza al meeting di Rimini non bastano per iscriverlo nella corrente del cattolicesimo sociale. Draghi infatti non ha mai scritto nulla sul pensiero economico cristiano mentre è nota la sua adesione al neoliberismo di sinistra ovvero visione liberale e socialista insieme. Sappiamo solo che è stato un grande banchiere di fama internazionale e che alla Bce ha salvato Euro e Italia dal fallimento. E non è poco. Ora Draghi è alla prova della solidarietà dopo averla annunciata al Meeting di Rimini.

Il pensiero umanistico di Draghi però deve ancora apparire. Siamo di fronte a un grand commis dello Stato, a un tecnico della finanza, a un economista molto serio e preparato ma non ancora a un teorico del pensiero cattolico e ad un politico alla prova dei fatti. Zamagni sostiene che Draghi, a differenza di Conte, dovrebbe essere più attento alla sussidiarietà, all’economia sociale di mercato. Per ora la grande finanza ha dimostrato di essere antisussidiaria per natura, gerarchica e direttiva, da Francoforte alla piccola filiale locale. Draghi è atteso inoltre alla prova dei poveri e del sociale. Dovrà dimostrare la sua sensibilità al Terzo Settore, alla sussidiarietà e alla tradizione della Dottrina sociale cristiana. Questo esecutivo sarà valutato alla prova dei provvedimenti che assumerà in questa eccezionale fase storica. Conte è andato due volte al Festival della Economia civile di Firenze, Draghi ha rifiutato di inviare un messaggio a Economy of Francesco di Assisi. Ora cittadini attivi, critici e gli intellettuali con stima e fiducia lo facciano lavorare sia pure con critiche costruttive. Vedremo la natura del governo subito, a fine marzo, con il blocco dei licenziamenti.

Viviamo in un’epoca travagliata e notiamo tra gli italiani una somma di solitudini, esasperate dalla pandemia. La democrazia ha mostrato la sua fragilità rispetto a un piccolo e terribile virus, alla tendenza di oligarchie e leader ad accaparrarsi il potere, rispetto alla disintermediazione sociale di partiti, sindacati, associazioni. Ecco la solitudine sociale e della politica chiusa in un gioco astratto e astruso, lontano dalle sofferenze dei cittadini. Walter Veltroni afferma: «L’Italia ha bisogno di stabilità, di riforme radicali, di relazione diretta tra elettori ed eletti, di governi che durino una legislatura e siano fondati sui programmi e non solo sull’ansia di tenere insieme una qualsiasi maggioranza, trasformando il governare in un fine e non in un mezzo… Le persone hanno bisogno della potenza della politica mai come in questo momento… il fascino e la capacità di far vivere la politica come partecipazione diffusa, come appartenenza critica a una comunità di valori e programmi. … La democrazia è fatta per viverla insieme, in una comunità di destino» (Corriere della sera, 2 febbraio 2021).

La nostra democrazia è alla prova della resilienza ormai. La complessità dei problemi richiede che i processi di potere si svolgano all’interno delle istituzioni anche con governi di responsabilità nazionale. Il ceto politico, studioso, selezionato dalle prove di governo locale o dalla dura esperienza di volontariato, di partito, di sindacato, deve portare nel 2023 concretezza dentro le forme delle istituzioni dando senso e direzione a decisioni necessarie, condivise e rapide. Abbiamo pertanto bisogno del ritorno dei partiti per riforme strutturali necessarie alla trasformazione del Paese. La democrazia infine ha bisogno di una nuova legge elettorale. Tante sono le conseguenze della riduzione del numero dei parlamentari dopo il Referendum. Con meno seggi a disposizione occorreranno più voti per essere eletti. Saranno favoriti i partiti maggiori nei collegi uninominali , 3/8 con metodo maggioritario, rispetto ai 5/8 del proporzionale.

Qualcuno vorrebbe passare a un sistema interamente proporzionale con sbarramento alla tedesca, anche per selezionare i troppi centrini in formazione obbligandoli a unirsi in un Centro autorevole e non escludere i piccoli partiti nelle piccole regioni con pochi senatori. Poi il Rosatellum va rivisto perché i cittadini non sopportano le liste bloccate dove i capi dei partiti nominano i loro fedelissimi. Molti sperano in un ritorno alle preferenze senza però accrescere i costi della politica e il voto di scambio. Appuntamento allora al 2023 per un confronto sui programmi tra due coalizioni omogenee per valori, leadership collegiali e condivise. Debutto di una nuova classe dirigente politica ed europeista in entrambi gli schieramenti?

Silvio Minnetti

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