I maggiori quotidiani nazionali, quasi concordemente, lo hanno salutato, anzitutto, come il Pontefice degli “ultimi”.
Ma chi sono gli “ultimi” di Francesco? Le persone che si incontrano, anzi si vanno a cercare nelle periferie del mondo e della vita. Quelle che, ferite ed affrante, vengono riversate nell’ “ospedale da campo” di Santa Romana Chiesa. Quelle che sono destinatarie privilegiate della misericordia e della tenerezza di Dio. Quelle che sudano e faticano tutti i giorni e non profumano, anzi recano sulla pelle l’ “odore delle pecore”, il sapore acre della vita.
Non sono forse le stesse persone che dovrebbero rappresentare la priorità della politica? Ma sono lette, in questo caso, secondo la stessa cornice interpretativa? Oppure sono tutt’altra cosa? Il fanalino di coda di una società che, per quanto slabbrata, vive una condizione di sopportabile benessere, se non addirittura abbiente e, talvolta, perfino sfacciatamente opulenta?
Rappresentano un’appendice fastidiosa eppure inevitabile del “funzionamento” del sistema, cosicché li si possa tollerare, purché non diventino una spina irritativa che disturbi la meccanica algida ed inossidabile degli apparati produttivi? O ancora la risacca – a suo modo “necessaria” – di processi che quanto più sono sofisticati, tanto più lasciano sul campo materiali di risulta, scarti da smaltire? Oppure sono la nostra cattiva coscienza? Una sorta di rimprovero latente che si vorrebbe tacitare, eppure parla alla coscienza di molti, forse un linguaggio subliminare, ma che pure, in qualche modo, inquieta? Non sono, fors’anche, una minaccia o almeno un severo ammonimento che ti mette di fronte ad un limite che appartiene, come tale, all’essere umano e potrebbe bussare, dunque, alla porta di ognuno, in qualunque momento?
Gli ultimi non rappresentano anche l’intrusione del “diverso”, a qualunque titolo sia tale, ed, in ogni caso, fattore di inquietudine e destabilizzazione di un equilibrio che si avverte quanto sia, comunque, già di per sé, precario? O non sono, addirittura, quella “plebe” da mantenere in una condizione di minorità
che ne favorisca una manipolazione funzionale al consenso?
Come affrontiamo la loro condizione di povertà non solo economica, la marginalità sociale cui gli “ultimi” sono costantemente esposti? Considerandoli il terminale passivo di provvidenze che ne plachino le ferite quel tanto che basta per omologarli al sistema? Immaginando nicchie, fossero pure gabbie dorate, purché serrate a copia mandata, che li contengano, senza che la collettività e le sue forme istituzionali, tacitata la loro buona coscienza, debbano farsi carico di garantire loro quel “diritto di avere doveri”, che rappresenta il riconoscimento del loro pieno titolo di cittadinanza e l’evocazione di una “generatività” che anche ad essi compete?
Le democrazie – e l’Occidente che ne dovrebbe essere la punta di diamante – come intendono affrontare questo versante scivoloso ed avvilente che umilia la dignità delle persone e nega loro quei diritti che sono ad esse, ad ognuno, ontologicamente appartenenti? Sono consapevoli che si tratta di un elemento fondativo della loro legittimità ad esistere e resistere alle provocazioni di un tempo che le insidia?
Per Papa Francesco, al contrario, gli ultimi sono coloro che ci dicono, anzi mostrano, senza ostentazione, quale sia il valore autentico della vita. Lo insegnano anche a chi distrattamente ne avesse perso per strada la consapevolezza. Sanno distinguere, d’ un tratto, ciò che è sostanziale e ciò che, nelle mille contingenze della vita, è, invece, solo accidentale. In modo particolare, coloro che sono feriti sul piano delle loro autonomie funzionali,
hanno spesso vivo il sentimento che la vita sia un dono e sia fondata su una “relazione” originaria che trascende la loro stessa condizione.
Perfino gli alienati mentali sono una cattedra e dicono di noi, della nostra comune ed inalienabile dignità molto di più di quanto non si evinca dall’incessante rincorsa della vita di tutti i giorni. Ci dicono, ad esempio, come per quanto si possa sopravvivere alla smarrimento della ragione, ciò in nessun modo compromette quella costante ricerca di un senso delle cose, del mondo e della vita, ricercato a tal punto da rovesciarsi, talvolta, perfino nelle forme del delirio.
Agli ultimi – sembra dirci Papa Francesco – dobbiamo abbeverarci, fino ad assumerli come criterio ed unità di misura di cui la politica e le istituzioni possano farsi carico per costruire una società coesa, giusta e solidale.
Francesco sa – come afferma, nel Vangelo, Nostro Signore – che i poveri saranno sempre con noi. Non perché siano i maledetti della Terra, ma perché ogni stagione della storia ha bisogno di misurarsi con la nostra indigenza per non smarrire la strada.
Questo ovviamente non ci esime dalla responsabilità di ricercare costantemente, secondo un cammino asintotico che non ha mai fine e ricerca sempre più in alto, le ragione della libertà, della giustizia e dell’ uguaglianza tra gli uomini.
Domenico Galbiati