Era il 25 ottobre 2022 quando Giorgia Meloni, prima donna a guidare un governo nella storia repubblicana, presentava alle Camere il suo discorso programmatico, chiedendo la fiducia al Parlamento. 

Il centrodestra si era appena affermato alle urne con una solida maggioranza, e l’agenda promessa appariva ampia, ambiziosa, quasi rivoluzionaria: riforma del premierato per garantire stabilità, riforma del fisco per alleggerire la pressione tributaria, riforma della giustizia per ridare efficienza e credibilità al sistema, riforma dell’autonomia differenziata, riforma della scuola, dell’immigrazione, della burocrazia. Un programma pensato per “fare la storia”, nelle parole della stessa presidente del Consiglio.

A quasi tre anni da quell’insediamento, lo scenario è ben diverso. L’ambizione riformatrice è evaporata tra i veti incrociati degli alleati, i continui compromessi al ribasso, le tensioni con l’Europa e il fallimento di ogni reale progetto strutturale. Quello che doveva essere il governo delle riforme è diventato il governo delle occasioni mancate.

Il Premierato scomparso, la Flat tax dimezzata

La riforma più sbandierata — il Premierato elettivo — è anche quella più clamorosamente fallita. Presentata come il fulcro dell’azione istituzionale del governo, avrebbe dovuto garantire la stabilità del potere esecutivo con l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Dopo un primo disegno di legge costituzionale, subito criticato da costituzionalisti e opposizioni, il progetto si è arenato in Commissione senza alcuna possibilità concreta di vedere la luce prima della fine della legislatura. Una riforma “simbolo” diventata emblema dell’impotenza.

Sul fronte fiscale, la famosa Flat tax è rimasta appannaggio esclusivo delle partite IVA in regime forfettario. Il sistema a due aliquote promesso dalla Lega non ha mai visto la luce. La riforma del catasto è sparita dai radar per volontà politica e paura di impopolarità. Si è proceduto invece a colpi di mini-decreti: condoni mascherati, rottamazioni, qualche incentivo alle imprese. Niente che somigli a un disegno organico. Nulla che possa dirsi davvero “riforma”.

Governo litigioso, maggioranza disunita

L’eterogeneità della maggioranza si è rivelata il vero tallone d’Achille del governo. Le divisioni tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si sono manifestate su ogni fronte: dal fisco all’energia, dalla giustizia all’Europa. L’autonomia differenziata — cavallo di battaglia del Carroccio — è diventata fonte di attrito con gli alleati meridionali. Il Ministro Calderoli ha portato avanti il progetto tra mille polemiche, ma a prezzo di un compromesso che ha lasciato insoddisfatti persino i governatori leghisti.

Sulla politica estera, la spaccatura è evidente e spesso imbarazzante. Salvini non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per Mosca e della sua insofferenza per Bruxelles. Ogni occasione è buona per attaccare l’Unione Europea, anche mentre la presidente del Consiglio cerca faticosamente di costruire un profilo istituzionale e “atlantista”. Il vicepresidente del Consiglio continua a criticare sanzioni, invio di armi, politica migratoria comune, mentre la Meloni stringe accordi con Von der Leyen e firma memorandum con i paesi del Mediterraneo. Un controcanto costante che mina la credibilità internazionale dell’Italia.

Un’“Armata Branca Meloni” in difficoltà

La formula usata da alcuni osservatori per definire questa maggioranza — “Armata Branca Meloni” — fotografa bene la situazione: un’alleanza fragile, attraversata da rivalità personali e divergenze strategiche, più impegnata a gestire equilibri interni che a costruire una visione condivisa del futuro del Paese.

La scomparsa prematura di Silvio Berlusconi ha accentuato il disorientamento di Forza Italia, mentre la Lega oscilla tra posizioni sovraniste e rivendicazioni di potere territoriale. In questo clima, la leadership della premier è diventata un esercizio di solitudine: forte nei toni, debole nei risultati. Sul piano internazionale, l’Italia appare sempre più marginale.

Gli Stati Uniti di Donald Trump non considerano Roma un interlocutore strategico. L’Europa guarda con preoccupazione ai tentennamenti italiani su Ucraina, difesa comune e migranti. Il G7 che si è svolto pochi giorni fa all’Aja, ha lasciato solo una foto di gruppo, priva di contenuti rilevanti. Mentre si moltiplicano le occasioni mancate, cresce la sensazione che questo governo abbia perso la spinta iniziale e si limiti a navigare a vista.

Il vuoto delle riforme e il tempo perduto

A due anni e mezzo dalla fiducia, il governo Meloni non ha realizzato nessuna delle riforme strutturali promesse. L’agenda originaria è stata sacrificata alla sopravvivenza quotidiana. Restano dichiarazioni roboanti, bandiere ideologiche, provvedimenti spot. Ma la promessa di “fare la storia” si è sciolta nella cronaca di un governo ordinario, incapace di guidare il cambiamento. Un bilancio severo, ma inevitabile per chi aveva annunciato la rivoluzione e ha prodotto solo chiacchiere e distintivo.

Michele Rutigliano

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