Non se ne avrà a male, la signora Bindi, se la prendo a riferimento, come  semplice espediente retorico, per rafforzare la luce che deve invadere la specificità dell’ispirazione  cristiana posta a fondamento dell’iniziativa politica del partito Insieme.

Allora, la scorsa settimana le viene accordato uno spazio giornalistico importante sul settimanale L’Espresso. Susanna Turco, l’intervistatrice, le dà modo di esprimersi a tutto tondo sulla situazione politica italiana, peraltro facendo discendere l’interesse per il pensiero della signora Bindi dal fatto che “tanti fanno il suo nome tra i papabili per il Colle”. Nel numero successivo dello stesso settimanale, in uno spazio aperto ai lettori, uno di loro scrive di volerne sostenere apertamente la candidatura, sulla base di alcuni motivi. Il primo dei quali suona: “è una politica di lungo corso, una democristiana…”.

Povera signora Bindi: non le è bastato essere chiarissima per essere compresa. Ella, in uno dei primi passaggi della sua intervista, evidentemente all’esito di una riflessione lunga e tormentata (questa è una mia preferenza interpretativa), dichiara: “bisogna aprire una fase di ricostruzione della sinistra”. Poco più avanti, afferma: “il PD dovrebbe usare questo tempo per andare oltre se stesso, costruire una grande forza di sinistra nel Paese”. E alla domanda se tornerebbe alla direzione di quel partito risponde: “tornerei a iscrivermi solo per votare una mozione che dice (il potenziale dell’uso del congiuntivo è ignorato) di andare oltre il PD per ricostruire la sinistra italiana”. Come è dovere di lealtà politica, annoto che nel corpo dell’intervista continua a parlare di centro-sinistra. Immagino che ciò sia dipeso dalla seguente lettura politica: “nonostante l’astensionismo, ci sarebbero i materiali, le energie: penso al mondo cattolico, di sinistra, che ha radicamento sul territorio eppure non ha casa, interlocutori. Navigano tra tentazioni di esperienze identitarie, mentre avvertono tutti che la sede giusta sarebbe una forza politica capace di essere inclusiva”.

Con tutto il rispetto che si deve ad una ex parlamentare, annoto che quell’esperienza ha lasciato tracce che non le consentono di risolvere le contraddizioni in essere nel nostro sistema politico. Tra le altre, quella che per un trentennio, dall’abbattimento dei partiti della tradizione democratica fondatori della Repubblica costituzionale-parlamentare, ha messo in luce un aspetto che non si è voluto affrontare e non si vuole affrontare per la chiara volontà di non perdere posizioni di dominio politico conquistate in assenza di presa in carico di orientamenti politici generali, sulla base della valorizzazione del principio del confronto come matrice della ricerca del punto di equilibrio per l’interesse generale. Davvero, nel brodo grasso del populismo, che ha fatto assurgere a qualità politica la spregiudicatezza dell’uso del consenso elettorale (molto semplificando, chiedo di ricevere il consenso per certi fini e, poi, secondo le convenienze contingenti quei fini li nascondo o li porto al macero), gli odierni partiti sono riusciti a cambiare le regole del gioco, in via di fatto, violando lo spirito della Costituzione. Nelle spire del populismo, è stato stritolato uno dei principi democratici fondamentali e cioè quello per il quale i partiti presentano piattaforme programmatiche tra loro in competizione e su quella base chiedono il consenso. Così che gli elettori possano esercitare la propria sovranità popolare sapendo dove indirizzarla. Sapendo anche che una mediazione si deve fare dopo le elezioni ai fini di un valore democratico essenziale, quello della governabilità. Non prima, quando a parlare di centri-destra, di centri-sinistra sono partiti non liquidi (come una certa nobile ricostruzione della sociologia politica potrebbe classificarli), bensì viscidi (con l’aggettivazione pertinente, ancorché dolorosa). Anche se, il dolore per il tradimento della Costituzione che è sotto i nostri occhi supera quello per dover utilizzare espressioni assai dure. Ma, mi sento rincuorato, nel farlo, da frasi del seguente genere: “quello che vi vedo, signori, posso esprimerlo in una parola: i costumi pubblici si corrompono, essi sono già profondamente corrotti; essi si corrompono sempre più ogni giorno; sempre più alle opinioni, ai sentimenti, alle idee comuni subentrano interessi particolari, mire particolari, punti di vista tratti dalla vita e dall’interesse privato”. Che il populismo sia dipinto dalle espressioni appena evocate di Tocqueville, mi ripara da una crisi di coscienza e mi rilancia nell’idea che Insieme sia sulla strada giusta.

Se la Bindi (ma si sbrighi a dirlo a Bettini) e la Meloni (con o senza Salvini), finalmente, lasciano cadere quel centro che accompagna la loro sinistra e la loro destra (e li appesantisce dell’accusa di una falsa rappresentazione all’opinione pubblica delle finalità vere, immediate dei loro partiti), allora si compie un atto politico di lealtà democratica verso l’intero Paese.

Così chi come noi ha il coraggio di  voler abbattere il populismo, di non essere disponibile agli strapuntini distribuiti dal potere dei partiti (cioè di aggregazioni che hanno il timore di dichiarare i loro fini generali),  potrà tornare ad essere fiero di affermare la volontà di servire l’uomo nella dignità della sua vita sociale e politica, senza paura di lasciarsi avvolgere dalla luce della fede.

Infatti, nella fede risalta la nobiltà della politica al servizio della persona, della comunità, dell’ambiente.

Alla signora Bindi (che mi perdonerà per averla chiamata in causa tante volte) noi di Insieme ricordiamo che nella tradizione cattolica (peraltro, per molto tempo tradita e vilipesa), la Politica (indulgo nella retorica, non la politica), scienza della convivenza e della collaborazione tra tutti, deve anzitutto rispettare la libertà come manifestazione della dignità della persona, come apertura al dialogo, alla reciproca integrazione, come esaltazione dell’intelligenza che contribuisce a creare la guida del processo democratico, in una dimensione di responsabilità rigorosa e di servizio, che si oppone all’esercizio del potere per i propri interessi e per quelli dei gruppi per i quali si opera nella penombra dei risvolti della pratica parlamentare.

Naturalmente, la nostra inclusività sarà totale, purché sia chiaro che “non vi è nulla di nascosto che non debba essere svelato e di segreto che non debba essere manifestato”. Sottoporrei al vaglio di questa massima evangelica la nostra legislazione, prima di esaltarla ed incensarla.

Quando sinistra, destra e centro saranno tornati ad essere il luogo riservato dalla Costituzione ai cittadini, tutti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, il dialogo sarà necessario per capire e per capirsi.

Il dialogo non sarà insidiosa ricerca di compromessi di potere o di benevolenze o di amicizie non dichiarate; sarà confronto libero tra persone di diverso sentire, che vogliono la collaborazione autentica nell’esplorazione della verità e nel conseguimento del bene comune, secondo valori che possono essere condivisi anche tra forze tra loro in competizione, e tuttavia desiderose del bene comune del popolo.

Per certo, la nostra non è tentazione di ispirazione ed esperienza identitarie. Quella tentazione la lasciamo volentieri a sinistra e a destra, che hanno mostrato e provato di tenerla in gran conto, nella prospettiva del potere.

Alessandro Diotallevi

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