Il dibattito sull’ambiente, quanto mai attuale, fa ritenere ormai imprescindibile il potenziamento di un’economia
sempre più verde, che preveda nuovi modelli di business e nuovi tipi di occupazione.

Studi accreditati prevedono un’economia capitalistica con al centro una tecnologia intelligente, supervisionata da
una governance gestita da pochi tecnici, come risultato della transizione ad una società “post-carbonio”, sostiene Jeremy Rifkin (“Un green new deal globale ed. Mondadori) prevedendo la trasformazione dell’attuale infrastruttura alimentata da combustibili fossili in una verde, intelligente, a emissioni di carbonio pari a zero; trasformazione tanto più auspicabile in quanto, come fa notare il nostro autore, l’attuale società al carbonio ha facilitato in passato un’anomala concentrazione della ricchezza (secondo il dato del 2019 gli otto individui più abbienti al mondo possiederebbero una ricchezza pari a quella accumulata dalla metà degli esseri umani).

Invece, l’infrastruttura digitale dell’economia post-carbonio risulterà “distribuita, aperta e trasparente”, in grado cioè di ottenere effetti di rete che faranno interagire direttamente tra loro milioni di persone a livello globale. Per fare ciò sarà sufficiente lo smartphone con internet: individui, imprese, comunità opereranno sulla rete a costi bassissimi.

Rifkin prefigura una rivoluzione nel modo in cui l’umanità organizzerà la propria vita economica e sociale: una svolta globale che porta ad un’era verde post -carbonio; non solo più sostenibile eticamente, ma anche economicamente più vantaggiosa. Infatti, come evidenzia Jeremy Rifkin che per l’energia solare, per quella eolica e per le energie rinnovabili in genere il costo sta rapidamente scendendo. Si può prevedere che tra non molti anni il solare e l’eolica costeranno meno dei combustibili fossili.

Le energie verdi, quindi, causeranno l’abbandono di oleodotti, gasdotti, piattaforme oceaniche, impianti di stoccaggio, impianti di produzione di energia, impianti petrolchimici di trasformazione. Sempre più operatori dell’informazione e della comunicazione, dell’elettricità, della mobilità e della logistica, stanno passando
dall’industria dei combustibili fossili alle nuove energie verdi perchè stanno diventando appunto più economiche. Siamo di fronte al successo delle tecnologie a zero emissione di carbonio e tutto ciò avverrà nel giro dei prossimi venti anni.

Anche per il mondo del lavoro si prevedono notevoli cambiamenti, dato il perfezionamento di macchine che riescono a fare cose che prima erano di esclusiva competenza dell’uomo; e poi causa di riforme molto invasive sono le nuove e avveniristiche piattaforme digitali che consentono interazioni anche ad elevata distanza tra più operatori (internet, google ecc.). Siamo in piena rivoluzione digitalete per i suoi effetti sul mercato del lavoro.

Come scrivono Francesco e Enzo Rullani (“Dentro la rivoluzione digitale” Ed. Giappichelli) sta prendendo forma un “articolato sistema di dispositivi elettronici, in grado di interfacciarsi con l’ambiente, di comunicare, di interagire tra loro, di adattarsi ed evolversi, andando a formare, dunque, un complesso ecosistema, che muta profondamente il mondo che ci circonda”. Si afferma una discontinuità con il passato, che è molto importante per i suoi effetti sul mercato del lavoro.

Tra i più significativi vi è la formazione di un modello di creazione di valore che permetta a chi dispone di riserve di risorse materiali ed immateriali di condividerle offrendole ad altri soggetti, diventando così egli stesso un produttore.
Un’altra distinzione che viene messa in discussione dalla digitalizzazione è quella tra lavoratore dipendente ed imprenditore; cioè, si modifica la contrapposizione tra chi comanda in azienda e chi deve eseguirne gli ordini. Questo conflitto può saltare particolarmente per i lavori a basso costo perché possono essere svolti dai robots. Si hanno, cioè, non più operai bensì macchine intelligenti. Può succedere, inoltre, che anche il comune lavoratore sia costretto ad investire sulla crescita delle proprie doti, che gli devono consentire di essere capace di assumersi dei rischi tecnologici e di operare in autonomia. Così il suo lavoro si “imprenditorializza” (Rullani).

Dunque, sono in gioco due intelligenze, una artificiale e una umana. Concordiamo con F. ed E. Rullani nel ritenere che ci si avvia lungo “un sentiero” non di sostituzione antagonista dell’intelligenza della macchina a quella dell’uomo, ma di una virtuosa compenetrazione delle due intelligenze per conseguire possibilità intellettive superiori alla media delle attuali.

Antonio Calabrò (“L’Impresa riformista” Ed. Bocconi), offre una prospettiva positiva, con un suo elogio della fabbrica tra creatività ed innovazione. L’impresa non è solo reddito, lavoro e benessere, ma è anche un luogo essenziale di istruzione e di formazione. E soprattutto può essere “lievito di nuovi equilibri sociali,
in quanto soggetto che vive nella società influenzandone le trasformazioni”.

D’accordo con l’analisi di Calabrò, c’è la necessità di operare perchè le trasformazioni in atto promuovano uno sviluppo con più qualità nel lavoro e più compatibile con l’ambiente. L’Italia si trova, infatti, ad avere bassi indici di competitività, nonostante vi siano numerose imprese italiane capaci di produrre e di innovare al meglio della concorrenza mondiale. A questo proposito lo scenario proposto da Enrico Giovannini (“L’utopia sostenibile” Ed. Laterza) è di un cambiamento radicale. “La questione che non possiamo sottovalutare è quella della
sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo”. Secondo l’autore, bisognerebbe procedere ad una profonda trasformazione strutturale del nostro modello di sviluppo. Nel futuro di Giovannini, sempre più centrali saranno le città, in particolare le grandi megalopoli, nonché il terremoto digitale del nuovo mondo del lavoro. Su quest’ultimo tema anche Giovannini ritiene che la quantità di lavoro umano impiegata sarà in grado di compensare i posti di lavoro cancellati dalle nuove tecnologie.

In conclusione, alla luce degli scenari tratteggiati, è opportuno che la politica italiana abbia la capacità di affrontare questi cambiamenti e non di accantonarli. Non è facile farlo perché sono politiche che richiedono costi elevati a breve termine, mentre i benefici si manifestano a medio – lungo termine. Per ciò, siamo d’accordo con Giovannini laddove ritiene che è necessario un cambiamento di mentalità per il passaggio al nuovo modello di società in quanto siamo di fronte ad un cambiamento soprattutto culturale per il nostro Paese.

Roberto Pertile

About Author