Non sappiamo – e crediamo nessuno sappia – se i cardinali che si accingono a chiudersi in Conclave riusciranno, nelle loro umane limitazioni, a tener conto di quali fossero le condizioni della Chiesa al momento della elezione di Papa Francesco. Così come di quanto ampi, forti e diffusi siano il bisogno di tutti e la speranza di ciascuno che lo Spirito Santo intervenga prima della “Missa pro eligendo Romano Pontefice“, cui seguirà la chiusura delle porte alle spalle dei principi della Chiesa, a cancellare la tanta distrazione e la tanta dimenticanza espressa in questi giorni.

Va riconosciuto come queste condizioni siano indubbiamente molto mutate – anche se ancora non abbastanza nei brevi dodici anni del pontificato di Bergoglio. Che per di più hanno coinciso con una fase storica caratterizzata dalle più imponenti trasformazioni del mondo e degli esseri umani. Una fase in cui l’aspirazione dell’uomo al dominio e alla trasformazione del creato sembra prendere la forma di ambizioni quali mai si era osato formulare in precedenza.

L’Intelligenza artificiale, come punta più avanzata di una scienza già in grado di invadere l’essenza del nostro essere, assieme alle nuove tecniche dell’ingegneria genetica. E poi, i processi economici sempre più caratterizzati dal turbocapitalismo della finanziarizzazione; l’avanzata impetuosa di paesi dalla taglia di interi continenti che hanno recuperato in un paio di generazioni la distanza che sotto vari profili li separava dalla parte più avanzata ed opulenta; parte che – a sua volta – sembra pronta a tutto pur di non perdere i propri privilegi. Sotto un cielo sempre più pieno di satelliti in modo di giungere ad una interconnessione come mai prevedibile nel passato e che apre pure nuovi scenari sul controllo della Terra e sugli endemici conflitti che lo caratterizzano.

E al contempo, raramente come in questi brevi 12 anni, i popoli sono apparsi inermi di fronte alla presenza contemporanea di rischi che, nel ventennio precedente, sembravano essere stati in parte addomesticati. Ai rischi, cioè, sempre più grandi derivanti dalla “Terza guerra mondiale a pezzi” denunciata da Papa Francesco. E in particolare dalla “banalizzazione” dell’ipotesi, avanzata da più parti, dell’uso dell’ultima carta di questa particolare, e tremenda, mano di poker che potrebbe concludersi con il puntare da parte di qualcuno sulla scommessa dell’uso dell’ordigno nucleare, magari ammantato dal pietoso termine di “tattico”.

L’opera di Francesco

Era l’agosto del 2014 (CLICCA QUI) quando Francesco ne parlò per la prima volta nel corso del viaggio di ritorno dalla Corea del Sud. Era stato eletto da poco più di un anno e già volava verso l’Oriente, che con l’America Latina e l’Africa, si sta imponendo come una delle aree più importanti per l’azione evangelizzatrice della Chiesa di Roma. Un’azione evangelizzatrice necessaria anche all’interno dello stesso Popolo di Dio come hanno poi dimostrato i fatti che hanno coinvolto persino cardinali, uomini di curia, vescovi e semplici sacerdoti.

Francesco raccolse 12 anni fa la Chiesa “delle sporcizie”, come la definì Papa Ratzinger alla immediata vigilia del Conclave che lo avrebbe fatto diventare il successore di Giovanni Paolo II. E, dunque, anche a causa di quella sporcizia, la Chiesa si ritrovava impaurita, impreparata, contorta e divisa.

Sotto il Pontificato di Bergoglio, nuove questioni e vecchie si sono sovrapposte. Una situazione che fu quasi iconoclasticamente rappresentate nell’immagine dei due papi seduti uno di fronte all’altro a Castel Gandolfo, poco dopo l’elezione al Soglio di Pietro del Papa argentino. Due scatole bianche erano in bella mostra sul tavolino che li divideva. Dentro quel candore vi erano probabilmente i faldoni che potevano spiegare delle ragioni che avevano portato il Papa tedesco a dimettersi e, in precedenza, da Cardinale alla guida dell’ex Sant’Uffizio, a presentare – pare – per due volte le dimissioni a Giovanni Paolo II. Dimissioni sempre respinte.

Nel prendere atto di come vi sia stato nell’operato di Francesco un ardore, una tenacia ed una determinazione comparabile come intensità alla lucidità con cui Benedetto avvertiva la drammaticità e la somma urgenza di decisi interventi tanto all’interno della stessa Chiesa quanto nei confronti del mondo – e per affrontare i quali Papa Ratzinger non sentirà successivamente di avere più le forze necessarie – dovremmo tutti affrontare l’interrogativo su quanto ci sia ancora da fare. Come è peraltro prevedibile che faranno i Cardinali fino alla nomina del nuovo Pontefice.

E ciò a partire proprio da quella “sinodalità” che Francesco ha rilanciato con slancio; ed in continuità con il suo predecessore. Una “sinodalità” intesa come un impegno di apertura all’ispirazione ed uno stato d’animo in cui più che mai il Papa ascolta pienamente i suoi fratelli vescovi e, nel suo ufficio universale -primaziale, agisce come Capo del collegio integrando attraverso di loro le Chiese locali, le loro pene e i loro doni. Come è accaduto non solo nel caso di Francesco, ma anche in quello di Ratzinger. In ciascuno dei quali c’è la difesa “dell’eredità del Vaticano II, il suo spirito in cammino, non errante, verso una Chiesa -comunione di fatto e di diritto, intorno al Pane e alla Parola, al papa e ai vescovi.” (CLICCAQUI)

Dissonanze

Ecco perché suona strano che qualcuno torni a chiedere un Papa, come ha fatto recentemente il cardinale Ruini, che ristabilisca un principio di autorità con il pretesto che la Chiesa, altrimenti, uscirebbe dal Pontificato di Francesco ancora più divisa. O che ci si lamenti dell’eccessivo “potere” affidato nella Curia romana a laici e donne. Anche i laici e le donne sono partecipi della “sinodalità”.

Molte delle voci, anche sincere, che parlano di stabilizzazione dopo Francesco – e che vanno caritativamente considerate come non mescolabili con quelle palesemente contrarie con quanto sembra richiedere il Popolo di Dio – sembrano nutrire in maniera troppo debole la speranza del ritorno ad un’altra Chiesa.

L’attacco, soprattutto al di fuori del Conclave, è forte. Se è vero com’è vero che anche uno come Andrea Riccardi sembra dare quasi per scontato che ci si possa trovare di fronte “ad un passo indietro” già consumato, e di cui si può solo prendere atto. Così come questi ha recentemente detto nel corso di una intervista a Le Monde.

Una visione che potrebbe facilmente sollevare l’obiezione di essere non solo “pessimista”, ma anche un po’ frettolosa. Un’obiezione cioè fondata sull’evidenza di come le folle – quelle stesse folle che in questi giorni hanno pagato un tributo tanto intenso alla figura e ai tanti messaggi di Papa Francesco – sembrino auspicare che i timori non sfocino in compromessi al ribasso.

Tanto al ribasso da pensare di cancellare un Pontificato che appare, invece, tra i più “confermati” (nel senso latino di “confirmare“, cioè rafforzare) dallo Spirito Santo. Specie se lo si considera sullo sfondo dei tempi e della situazione che caratterizzava la Chiesa quando Papa Francesco ne ha assunto la tremenda responsabilità. E che è stata da lui almeno riorientata a risollevarsi alla luce della carità, della misericordia, e della speranza.

Giancarlo Infante

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