Lo smottamento dei castelli di sabbia della Seconda repubblica è tuttora in corso e c’è chi, anziché disperderle come zavorra ai lati, cerca di spingere ed ammassare le macerie al “centro”. Quest’ ultimo, infatti, dalla sera alla mattina, non è più considerato – come succedeva, per la verità a mo’ di scongiuro, nella garrula narrazione bipolare – come la palude dell’inerzia, destinata a trascinare il Paese nelle sabbie mobili, bensì esaltato come una sorta di Eldorado, arieggiato da un venticello fresco e frizzante che spazza ogni nube dal cielo.
Per rovinare qualunque cosa nuova serpeggi e cerchi di affacciarsi non c’è miglior modo che “mitizzarla”, cioè sospingerla in una dimensione un po’ onirica che la distacchi dal dato di realtà del momento. Sono legioni oggi – e tra loro molti pentiti – a scoprirsi “centristi” e “proporzionalisti”, tra l’altro immaginando che le due cose siano necessariamente connesse e sintoniche. Il che non è per nulla vero.
C’è, insomma, un grande traffico di carriaggi, diligenze e carri telonati, messi su in fretta, lanciati a contendere alle mandrie di bisonti le praterie di un trasognato “oltre” o meglio gli strapuntini che, oggi più numerosi di ieri, potrebbero sorgere, come cactus nel deserto, in quell’ arido lembo di terra di nessuno che pare aprirsi tra i due schieramenti. Meglio mettere le mani avanti a prescindere dal fatto che i due poli di destra e sinistra riescano poi, o meno, a ricomporre, se non altro, le parvenze di una decente intesa.
Ad esempio, di molti “neo-proporzionalisti” è bene diffidare, in quanto non sembrano rispondere alla “ratio” di un possibile nuovo disegno del nostro sistema politico, ma semplicemente sono tarantolati dal timore di non sopravvivere e intanto si adattano istintivamente a quel subliminale impulso secondo cui, tanto per cautelarsi, “chi fa da sé, fa per tre”.
Pronti ad arrancare un’altra volta, come naufraghi fradici di paura, verso l’area di Noè del rispettivo, originario polo, se appena questa mostri di lasciare il porto delle nebbie e di saper riprendere la linea di navigazione. Senonché va detto con chiarezza, non abbiamo affatto bisogno di un “centro”, ma piuttosto di una nuova piattaforma politico-programmatica che si prenda seriamente in carico la “trasformazione” di cui il Paese ha urgente bisogno.
Chi continua ad invocare il “centro”, chi immagina di declinare, per forza di cose, in termini di spasmodica ricerca del mitico “centro”, quella nuova impalcatura di cui necessita il nostro sistema politico, non fa altro che tenere in caldo una posizione ambigua. Da una parte allude ad una novità strutturale di cui, in cuor suo, sa come non si possa fare a meno, dall’altra non smette di fare le fusa al vecchio sistema. Non si sa mai di che morte convenga morire.
Facciamo, piuttosto, un esperimento mentale. Proviamo a disegnare su una velina la piattaforma di cui sopra, sovrapponiamola alla mappa dell’attuale arco parlamentare ed, infine, osserviamo in trasparenza i due fogli. Siamo sicuri che la figura tracciata sulla velina vada a collocarsi, più o meno, nell’area di mezzo della mappa sottostante? Oppure deborda, qui da una parte e lì dall’ altra o addirittura si disloca del tutto in una posizione ectopica, al di fuori della grammatica dell’attuale toponomastica parlamentare ?
E se poi dovesse essere “centro” che “centro” sia, ma nella consapevolezza di un percorso di discernimento critico, di una genesi libera, perfino audace, forse addirittura sfrontata, per nulla ossequiosa di una metrica superata. In genere, peraltro, si puntella il concetto di “centro” con le parole della “moderazione”. Eppure si tratta, anche qui, di un’operazione in fondo illegittima.
La “moderazione”, infatti, non tanto con i contenuti, ma piuttosto con il metodo ha a che vedere e come tale non può o non dev’essere rivendicata o sequestrata come appannaggio esclusivo di questa o quella parte, ma piuttosto auspicabilmente vissuta da ogni forza politica. In buona sostanza, rifiutiamo il “centro” come viene immaginato in questi giorni esacerbati, ancora vissuti nel turbamento della vicenda quirinalizia: una sorta di ammucchiata indistinta di spezzoni, schegge, segmenti che confusamente accavallano, le une sulle altre, le rispettive aspirazioni.
Anche qui, se mai, deve prevalere in concetto di “coalizione”, che nulla ha da spartire con quei meri e, peraltro, precari, aggregati elettorali che, la scorsa settimana, hanno vissuto a Montecitorio la loro meritata agonia. Ed ogni “coalizione” esige un duro lavoro di ricerca, di confronto e di mediazione, un costruzione paziente e ponderata, un coagulo di diversità che non si nascondono sotto il tappeto, ma si guardano consapevolmente negli occhi ed, in tal modo, anziché momento di disgregazione, diventano fattore di forza.
Torniamo, insomma, all’impegno di una piattaforma da costruire.
Domenico Galbiati