Parlare di partito d’ispirazione cristiana non significa pensare ad un partito di solo cattolici o rivolgersi solo a chi si professa cattolico. Il bacino di riferimento non sono in via esclusiva i frequentatori delle chiese. Quando Papa Francesco scrive la Fratelli tutti, com’è sempre stato nel caso delle Encicliche che formano quello che chiamiamo Dottrina sociale o Pensiero sociale della Chiesa, siamo consapevoli del fatto che essa sviluppa una forte carica di universalità.

Siamo molto lontani dal ridurre questioni tanto importanti, e di enorme valenza antropologica, a disquisizioni lessicali come quelle che da tempo, molto soprattutto in Italia, dove la sostanza è spesso sacrificata al verbalismo, sono ingaggiate su termini come “centro” ed altro.

Quell’ Insegnamento sociale, infatti, si riferisce e parla a tutti e cinque i continenti e non è certamente misurato su questa o quella vicenda domestica da noi trovate tanto eccitanti. Esso “legge” le complessive e complesse vicende umane e verso di loro sono indirizzate proposte e invito a prospettare ipotesi di soluzione, poi affidate al discernimento, alle competenze e alla generosità di chi è intenzionate a raccoglierle.

Ecco perché Papa Francesco si rivolge a chi, nel mondo cattolico, riduce l’impegno politico ad opportunismo, per quanto ammantato da bei sentimenti, per dire :  “Il mondo non ha bisogno di chi sta un po’ a destra e un po’ a sinistra per convenienza”( CLICCA QUI ).

Il Pensiero sociale cui dovrebbero ancorarsi dei cattolici spira, sì, dalla connotazione evangelica, ed è quindi radicata in una forte valenza di fede, ma finisce per andare oltre e permeare il cammino del mondo. E così continuare con quella “virtù” che Benedetto Croce definì  la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai raggiunto, quella appunto del cristianesimo. In grado di operare  “nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità”.

E’ tutto questo a spiegare il pensiero di Maritain e a far comprendere l’azione politica di don Luigi Sturzo e dell’intero movimento dei popolari. E’ questo che, a mio avviso, ancora oggi, dà un senso all’impegno politico dei cattolici. Con essi, pure di tutti quei laici che fanno proprie le grandi suggestioni di un sentimento collettivo e di una partecipazione pubblica da improntare all’insegna della solidarietà, della sussidiarietà, della difesa della dignità umana e della ricerca della più ampia Giustizia sociale. E’ quanto Francesco ha sintetizzato recentemente con l’invito ad “organizzare la speranza”.

Questo particolare contributo al pensare e all’agire umano può essere paragonato alla “vite senza fine”, con la capacità di trasmettere energia fino alla fine dei tempi per rispondere a quel fondamentale dovere che abbiamo di interrogarci sulle condizioni delle donne e degli uomini e intervenire laddove quelle condizioni emergano con i loro connotati iniqui, diseguali e antropologicamente e socialmente distorsivi. Facendolo nella storia, è evidente che probabilmente siano destinati a modificarsi termini e contenuti, ma non certo il forte stimolo morale ed esistenziale.

Scrivo queste cose dopo che il caro amico Antonio Labate mi ha recapitato un suo recente intervento su Il Domani d’Italia ( CLICCA QUI ). Sembra dolersi dell’invio. Come se le sue parole colpissero il progetto avviato con Politica Insieme e con la costituzione del partito Insieme. Giacché, egli sottolinea,  nei ragionamenti di chi crede nella possibilità di dare vita ad una presenza politica dei cattolici vi sono “troppe lacune e i troppi errori” e, giustamente, se la prende con quanti riducono questo progetto alla riproposizione di quella idea di “centro”  che resta “formula indistinta e paradossale, qualcosa che sfiora l’ambiguità, se non il trasformismo”.

In effetti, troppi corrono a formare il “centro”. E questo, mi par di capire seguendo Labate, dovrebbe costituire, di per sé, una remora a creare una forza nuova intenzionata a superare una politica giocata quasi esclusivamente in quel frequentatissimo supermercato delle definizioni astratte e generiche nel cui retrobottega, però, si trova il reparto degli accordi conclusi all’insaputa e alle spalle degli italiani.

A noi questo tipo di “centro” non interessa. Non è un caso se proprio ieri Domenico Galbiati ha parlato di “aria fritta” ed ha auspicato addirittura l’abrogazione del temine ( CLICCA QUI ). E non solo perché non siamo eccitati dall’idea di metterci a misurare con il metro l’esatta distanza che si dovrebbe tenere, da una parte, dalla destra e, dall’altra, dalla sinistra. Noi diffidiamo da chi si abbandona a questa puerile e riduttiva rappresentazione di un progetto politico. Può interessare qualche giornale e qualche televisione intenzionate a mantenere in piedi un sistema politico oramai decotto. Sì, perché di questo si tratterebbe: un “centro” funzionale alla conservazione dell’esistente con la sola modifica della porzione e della disposizione degli addendi di una sommatoria che, invece, è tutta da rifare.

La centralità in un quadro politico nuovo dev’essere conquistata sapendo che non basta dirsi cattolici, popolari e sturziani. Bensì, dimostrando di aver appreso la lezione di Sturzo sul fatto che non c’è politica mancando l’analisi sociologica. Perché solo così c’è la capacità di innervare l’ispirazione cristiana in un processo politico efficace e convincente. Per questo sono particolarmente convinto che abbia ragione Labate quando scrive: ripartire dalle ” analisi sociologiche sulla struttura della società in cui viviamo”. Quello che i politici che si dicono cattolici non fanno da circa tre decenni. Troppo partecipi di una “diaspora” tutta giocata in termini di schieramento e, dunque, quasi esclusivamente da considerare utilitaristica.

E’, poi, opportuno andare a un altro invito di Papa Francesco: operare tutti insieme. Ma a mio modesto avviso è questo cosa da sottoporre ad adeguato discernimento perché esso assuma tutta la valenza positiva che una simile sollecitazione sprigiona ed attende.

Vuole il Pontefice dirci che si debba pensare ad un’indefinita ed irrealistica commistione in base alla quale si superano tutte le differenze, le tante finalità, i metodi, le posture assunte dalle diverse forze politiche?  Oppure, ciò dev’essere interpretato come la necessità che in molti s’impegnino, nel rispetto della differenza, a farsi carico di una responsabilità pubblica, in ogni caso comune, in un mondo in cui è sempre più evidente che a domande complesse non si risponde con un’inadeguata semplificazione?

E’ ovvio che ci si debba attendere  che in questo tipo d’impegno ciascuno porti il proprio ingegno, la propria tenacia, la propria specificità. Anche perseguendo l’obiettivo di orientare fasce sempre più ampie della pubblica opinione verso quella visione delle cose coltivata sulla base di una propria peculiare caratteristica. Sempre nella consapevolezza, però, che esistono una dialettica, un gioco democratico, un quadro comune in cui si è inseriti( in Italia esso è disegnato dalla Costituzione) e in cui possa determinarsi un’eventuale sempre possibile alternanza, magari giocata anche in termini accalorati, e persino “divisivi” nel senso sturziano del termine.

Quello cui invita Papa Francesco non è  generico impegno politico che autorizzi, ad esempio i cattolici, a chiamarsi fuori in termini di contenuti e di schieramento perché bisogna fare qualcosa “insieme”. Insieme si mantiene il quadro democratico, si difende il “sistema paese”, ci si prende cura dell’educazione delle nuove generazioni e della loro proiezione verso il futuro. Insieme si fanno salvi gli equilibri istituzionali e della rappresentanza. Ma esistono anche altri doveri ed altre responsabilità da assumere nei confronti dei principi di riferimento e di quel complesso fatto di tradizione storica, culturale, valoriale ed ideale in cui si sedimentano inevitabilmente identità politiche ed elettorali ben definite.

E’ per questo che noi conclamiamo l’adesione a un pensiero ispiratore e ad una originale idealità A un’identità che non significa la sottolineatura di esclusività e sopraffazione culturale. Bensì la determinazione a portare un sentimento specifico nell’operare per il bene pubblico. E noi ben sappiamo che la storia insegna quante siano numerose le prospettive indirizzate in tal senso: alcune fortemente alternative le une alle altre. Ma  poi ci sono la postura, la cultura politica, linguaggi e progettualità diverse, l’essere espressione di un aggregato sociale invece che di un altro. Ampie le opzioni e le possibilità.

Se dunque è necessario continuare a parlare di “centro”, perché abusato termine corrente, ma niente è più insinuante dell’abitudine, si abbia almeno la compiacenza di chiarire e di precisare di che cosa parliamo.

Noi, e lo ripetiamo ancora una volta, diciamo che oggi al centro di ogni analisi e valutazione, di ogni giudizio e di ogni considerazione debba essere posto un processo trasformativo che, partendo dalle coscienze, diventi moto ed azione politica rigeneratrice. La trasformazione è ciò che va considerato assolutamente indispensabile per tenere desta ed organizzare la speranza.

Giancarlo Infante

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