Ci vorrebbe, se si può chiamarlo così, un “gruppo di contatto”, cioè un luogo in cui studiare pacatamente l’interfaccia tra cattolici e politica. Non è certo questione che abbia a che vedere con l’appuntamento elettorale del prossimo 25 settembre, tanto è poco il tempo che ci separa dal procurato appuntamento con le urne. Ciò non di meno, si tratta di una questione che molto ha a che vedere con la qualità della nostra democrazia. E, quindi, rilevante per tutti, non solo per la comunità dei credenti. Almeno per due motivi.

L’ Italia può tuttora essere considerata, almeno per taluni aspetti, Paese eminentemente “cattolico”, se non altro per la vastissima educazione di base comune, sia pure limitata, in tantissimi casi, alle età minori della vita, che, peraltro, sono quelle destinate a lasciare un segno indelebile, anche quando reso invisibile. Non a caso, si potrebbe dire – scherzando, ma non troppo – che politici e calciatori hanno una cosa in comune: molti di loro vengono dall’oratorio.

Succede che, che tra persone che hanno un attivo impegno politico sotto le più varie bandiere, s’incontri chi definisce sé stesso come “cattolico che ha perduto la fede”, eppure si riconosce interiormente, culturalmente, mentalmente pur sempre tributario dell’educazione ricevuta in famiglie e, ad un tempo, in parrocchia.
In secondo luogo, pare che a nutrire il folto popolo dell’ astensione dal voto, vi siano legioni di cattolici. Ma poi vi sono altri motivi.

La religione è universale e la politica particolare. L’ universale sempre eccede il particolare, ma non prima di averlo colmato. Il particolare si scompone e si smarrisce nell’ universale, a meno che non abbia chiara consapevolezza della sua parzialità. In fondo, si tratta in generale di un tema affascinante, per certi aspetti analogo alla questione del rapporto tra “il continuo ed il discreto” che intriga il pensiero dei matematici e lo sospinge verso una frontiera dove sconfina nella filosofia.

Andrebbe osservato che proprio questo vitale rapporto tra l’universale ed il particolare assume un ruolo determinante quale antidoto alla “ideologizzazione” del pensiero dei credenti. Il quale si attesta attorno a principi, griglie di lettura, categorie interpretative che gli forniscono un rigore severo, ma, nel contempo, lo rendono capace di imparare induttivamente dalla realtà. Di costituirsi, cioè, come sistema aperto, piuttosto che chiuso e unilateralmente deduttivo, come succede alla postura ideologica che non produce mai nulla di nuovo, ma tutt’al più sviluppa e decanta solo ciò che è contenuto nelle sue premesse e negli assiomi che le asseverano una volta per tutte. Non a caso, il pensiero, una cultura ispirata ad una concezione religiosa della vita, è sempre fattore di libertà, ben più di quanto comunemente si creda.

Lo dimostra, a ben vedere, se appena usciamo da schemi di pensiero ossificati e presuntuosi, il fatto che oggi sono i credenti ad essere i più’ laici e molti laici ad essere più ottusamente clericali. Ed un altro accostamento, oggi irrecusabile, andrebbe studiato: cosa corre, quale, si potrebbe dire, simmetria asimmetrica si pone tra il “globale” e l’ “universale”, cioè, appunto, il cattolico? Del resto, quel che si può dire, tra parentesi, ad esempio, è che nessun’ altra istituzione al mondo, quale la Chiesa Cattolica, ha maturato storicamente un’ esperienza così viva, ampia, consolidata e concreta della globalità planetaria.

Altro aspetto da considerare concerne il pluralismo, sul piano del consenso politico, che i cattolici hanno maturato anche in Italia. Si tratta di una ricchezza piuttosto che di un impoverimento e di una dissipazione, purché si sappia nutrirlo congiuntamente di libertà di spirito, di capacità critica, di autonomia di giudizio e, ad un tempo, di comune e consapevole appartenenza alla comunità ecclesiale. E qui si dovrebbe dire – ma in altra occasione – del doveroso compito di discernimento che a quest’ ultima compete.

Pluralismo nulla ha a che vedere con relativismo, pressappochismo o indifferenza al valore umano in gioco.
Va detto, infine, che forse – almeno per questo dato essenziale , che concerne in sé il rapporto tra universale e particolare, tra religione e politica, ben più che non sul piano della sua concreta declinazione storica negli anni della prima repubblica – il lutto per la scomparsa della Democrazia Cristiana non è ancora stato elaborato del tutto. Ed i lutti che, lo si sappia scientemente o meno, restano lì come un nodo in gola, avvelenano la vita ed impediscono di guardare avanti.

Per questo, forse, non sarebbe un progetto così cervellotico, come può apparire a prima vista, l’idea di un “gruppo di contatto” tra credenti che, sul piano della presenza attiva nella vita civile della comunità nazionale, hanno fatto scelte differenti: chi, ad esempio, di impegno politico diretto e militante e chi no. Del resto, coloro che optano per l’impegno politico non sono necessariamente peggiori degli altri, anche se spesso avvertono sulla loro pelle una certa diffidenza, perfino una certa irrisione o almeno un sentimento di sufficienza, se non il ferale sospetto di essere quelli che vogliono trafficare con l’ infernale demone del potere.

Domenico Galbiati

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