Lo scorso 27 luglio è stata firmata, in Scozia a seguito di un accordo politico tra la Presidente dell’U E Ursula Von Der Leyen e il Presidente Donald Trump, una dichiarazione congiunta sui dazi in cui viene illustrato dettagliatamente il nuovo regime tariffario tra gli U$A e l’U E. Si tratta di un accordo quadro con una intesa che prevede quanto segue: dazi al 15% sulle esportazioni di merci europee negli Stati Uniti, mentre sulle importazioni europee di merci provenienti dagli Stati Uniti, l’UE ha ritenuto necessario sospendere le contromisure per 6 mesi senza applicare le proprie tariffe sulle merci e servizi degli U$A.
Un accordo quadro che confluisce in una intesa i cui punti chiave sono i seguenti:
- la maggior parte delle esportazioni europee negli U$A saranno tassate del 15%, a partire dal 1° agosto (in realtà la partenza dei nuovi dazi è dal 7 agosto 2025)
- le esportazioni delle auto e dei ricambi passano da un dazio del 27,5% al 15% cosi anche prodotti farmaceutici e i semiconduttori;
- rimangono al 50% i dazi su acciaio, alluminio e rame;
- l’Europa si impegna ad effettuare investimenti extra negli Stati Uniti per 600 miliardi di dollari entro il 2028 e si impegna ad effettuare entro lo stesso termine acquisti per 750 miliardi di dollari U$A di prodotti energetici statunitensi (compresi gli acquisti di gas liquido).
Con la dichiarazione congiunta sui dazi tra gli Stati Uniti e UE del 21/08/2025 è stata completata la trattativa iniziata il 27 luglio 2025 e in tale dichiarazione vengono resi noti ufficialmente i contenuti dell’accordo raggiunto in Scozia.
Aspetti della trattativa finale: vengono applicati in generale dazi del 15% sulla “stragrande maggioranza” delle esportazioni europee, tra cui le auto e i ricambi che passano dal 27,5% al 15%. L’entrata in vigore delle nuove tariffe parte dal 1° agosto (poi modificato dal 07 agosto) e cioè dal primo mese in cui sarà adottato il regolamento tariffario senza aspettare l’entrata in vigore dei provvedimenti, attraverso l’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento europeo e di quello degli Stati dell’UE.
Per quanto riguarda i seguenti beni: “Aerei e componenti, farmaci generici e loro ingredienti, precursori chimici e risorse naturali non disponibili, tipo sughero, dal 1° settembre, gli Stati Uniti, terranno presente (per i rispettivi dazi), l’aliquota della nazione più favorita – MFN: Most Favoured Nation – e quindi l’aliquota più bassa senza penalizzazione”. (Gianluca Di Donfrancesco – Dazi: auto 15%, niente sconto sul vino – Ma tariffe zero sui beni industriali degli Stati Uniti – Il Sole 24 ore del 21/08/2025);
Nessuno sconto sull’aliquota del 15% per quanto riguarda il vino e alcolici, su cui era vivo l’interesse dell’Italia e della Francia e stessa aliquota anche per i farmaci non generici; rimangono al 50% i dazi su acciaio e alluminio e anche rame. C’è tuttavia un “riferimento ad un sistema di quote”, e/o contingentamento, in cui si applica la clausola MFN (Most Favoured Nation);
Obblighi a carico dell’UE: 1) La Commissione europea dovrà creare le condizioni per l’acquisto dagli Stati Uniti, di forniture energetiche per 750 miliardi di dollari U$A riguardanti l’acquisto di gas naturale liquefatto, petrolio ed energia nucleare entro il 2028; 2) nell’’accordo c’è inoltre la promessa di acquistare chip per l’AI (intelligenza artificiale) per 40 miliardi di dollari; 3) Impegno per le imprese europee di effettuare investimenti per 600 miliardi di dollari nei settori strategici degli U$A del tipo: farmaceutici; semiconduttori e manifattura avanzata. Per i servizi digitali, la Commissione europea chiarisce che non c’è alcun impegno da parte dell’UE.
La Commissione dichiara che tra i vantaggi per l’UE c’è la tutela di milioni di posti di lavoro. Cosa tutta da verificare!
La trattativa così come sopra descritta (almeno la parte soggetta al 15% ecc.) è andata in funzione dal 07 agosto, giorno che rappresentava il primo giorno del mese in cui il processo regolamentare veniva avviato senza aspettare l’entrata in vigore dei provvedimenti definitivi e cioè regolarmente approvati dal Parlamento europeo e dagli Stati dell’UE.
A margine di quanto sopra detto faccio le seguenti considerazioni: è l’UE nelle condizioni di potere assorbire i risultati che scaturiranno dall’applicazione dei dazi così come predisposti dall’Amministrazione Trump? Il problema è la capacità strutturale dell’UE che manca! Manca agli organi dell’UE inoltre soprattutto una capacità decisionale rapida tale da poter affrontare e risolvere i problemi, come quelli scaturenti dalle misure sui dazi così come applicate da Trump. Per l’UE questa è l’occasione per darsi quella capacità decisionale che manca! Sul giornale AVVENIRE del 29/07/2025 nell’editoriale è scritto quanto segue: “il dato, innegabile, resta quello della debolezza strutturale dell’U E ed è per questo che la vicenda dazi potrebbe anche portare con sé un risvolto positivo, se facesse maturare nei leader europei la consapevolezza di dover cambiare passo su questo fattore”. Ed è su questa linea che l’Europa si deve muovere, anche ciò vale soprattutto nel medio e lungo-termine (Eugenio Fatigante – una trattativa senza bussola – Quotidiano “Avvenire” del 29/072025”
Per l’Italia cosa rappresenta questo 15% (non fisso per tutti i beni e servizi ma mutabile a seconda dell’utilità economica che quel bene e/o servizio può portare all’economia degli Stati Uniti) per la sua economia o meglio per la sua crescita economica? Chi scrive dà subito un esempio sulla mutabilità di quel 15%: il giorno 05 ottobre 2025 Trump dichiara guerra alla pasta italiana: dazi al 107%!! (Corriere.it dello 05 ottobre 2025). Il Dipartimento del commercio Usa in una indagine che non sarebbe stata condotta correttamente, ha deciso di aumentare il dazio della pasta del 91,74% in aggiunta al dazio già applicato del 15%, portandolo ad un totale del 107%! Ecco un esempio evidente e chiaro di mutabilità o meglio di prepotenza economica! E l’Europa cosa farà?
Ritornando al problema di cosa potrà portare quel 15% al nostro Paese, è certo che sicuramente porterà dei problemi nei settori economicamente più fragili e questo obbligherà il nostro Paese a chiedere aiuti economici all’Europa, cosa che sarà fatta anche da altri Paesi dell’UE. Il 15% generalizzato con i suoi problemi sulle economie dei paesi UE è da considerarsi quindi eccessivo e non sopportabile dai settori cosiddetti fragili per cui potrebbero esserci situazioni di fallimenti, di uscite di aziende dal mercato e di conseguente riduzione di produttività con riflessi negativi sulla crescita e sull’occupazione. Non mancherà in questa fase inoltre un ulteriore incremento del debito pubblico certamente non il debito buono così come chiamato dal prof. Mario Draghi.
Altro che ripresa economica! Ci potrebbe essere all’inizio una fase di inflazione con effetti sulla crescita e sui posti di lavoro a cui potrebbe seguire stagflazione e nel peggiore dei casi una fase deflattiva dell’economia.
E per gli USA quale sarà l’impatto in seguito all’applicazione dei dazi doganali? A tale domanda c’è una prima risposta riportando quanto afferma Giampaolo Galli nell’articolo pubblicato in data 10/02/2025 su l’OCPI (Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani): In tale articolo si afferma che: “I dazi che il….Presidente D. Trump ha attuato o minacciato sono controproducenti per gli Stati Uniti perché sono una tassa sui consumatori e sulle imprese americane che acquistano input intermedi e materie prime dall’estero. Aumenterebbero l’inflazione e comprimerebbero la competitività delle imprese americane con effetti negativi sulla crescita e sulla creazione di posti di lavoro.” (Giampaolo Galli – OCPI del 10/02/2025).
L’impatto dell’aumento dei dazi potrebbe quindi determinare un aumento dei prezzi negli USA, creare inflazione, e porre in crisi il mondo delle imprese fragili che per evitare un possibile default dovrebbero così trovare mercati con domanda non modificabile e comunque in modo da poter assorbire tale aumento dei prezzi. In questi casi per aiutare le aziende in difficolta e per evitare fallimenti e/o riduzioni importanti della produttività e per non ridurre lo stato dell’occupazione in atto (oppure in alternativa utilizzando la manovra dell’aumento dei salari al fine di destinare il surplus salariale verso maggiori acquisti con lo scopo di sostenere il mondo delle imprese in crisi e garantire comunque la crescita economica), per avere tutto ciò ci dovrà essere un incremento della spesa pubblica (che sarà comunque non produttiva) che andrebbe ad aumentare il debito pubblico invece di ridurlo come era negli intendimenti che giustificavano la manovra dei dazi doganali.
Tale aumento di debito senza alcun incremento della produttività (sociale) potrebbe avere le seguenti conseguenze:
- un aumento dei prezzi a seguito dell’applicazione dei dazi doganali;
- un calo dei consumi attraverso la riduzione della domanda a seguito dell’aumento dei prezzi;
- stagflazione con riduzione e successiva stagnazione dell’attività produttiva per l’uscita di aziende dal mercato e/o per mancanza di investimenti nel settore colpito dall’aumento dei dazi;
- possibili fallimenti e default di aziende marginali e non.
Ruolo dell’Europa
In questa situazione l’Europa si trova a dover effettuare una più rigorosa e pressante collaborazione tra gli Stati facenti parte dell’’U E. Infatti sia la situazione relativa alla guerra tra Ucraina e Russia; sia le conseguenti scelte di approvvigionamento di prodotti energetici (petrolio, gas naturale, energia elettrica, carbone, ecc..); sia la nuova posizione degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa che sta diventando sempre meno amichevole, tanto militarmente quanto economicamente; sia per altre ragioni; e sia per ultimo in conseguenza delle scelte dell’amministrazione Trump sull’aumento dei dazi doganali a livello mondiale, non escludendo in ciò anche l’Europa (vedi quanto appena scritto); sia perché tutto ciò porta l’Europa a dover fare scelte politiche (si va o si andrà verso uno Stato Federale) ed economiche tendenti a burocratizzare sempre meno la regolamentazione degli scambi intraUE e/o anche ad eliminare i cosiddetti dazi interni.
In un suo intervento il prof. M. Draghi ha sottolineato che l’Europa è bloccata da due situazioni che sono le seguenti:
Eccessiva regolamentazione interna (con burocrazia) che di fatto supera quella esterna; problemi dei dazi interni.
L’Europa dovrà pertanto cambiare regime e al fine di permettere la crescita del mercato unico, sarà costretta a ridurre al minimo la regolamentazione interna (e la burocrazia) eliminando così del tutto le barriere interne e gli impedimenti normativi. Sovra-regolamentazione e barriere interne che di fatto limitano il mercato interno penalizzando così la crescita delle aziende e soprattutto quelle tecnologiche. A tutto ciò, per la crescita suddetta, dovranno aggiungersi investimenti massicci produttivi tali da produrre maggiore occupazione con incremento di ricchezza reale, stimolando nel contempo la ricerca e lo sviluppo.
Sarà necessario quindi mettere al centro delle scelte economiche la crescita che dovrà pertanto provenire da “investimenti strategici”, dall’”innovazione” e da una vera e propria deregulation interna e cioè da una “regolamentazione più agile”.
Antonio Mascolo