Sant’Agostino nelle Confessioni scriveva che la memoria è un “palazzo interiore” dove l’anima può ritrovare sé stessa. E oggi, in un mondo sempre più veloce e superficiale, coltivare la memoria è divenuto veramente un atto di resistenza, un modo per conservare, contro tutte le tentazioni del nostro tempo, la nostra identità e la nostra umanità.

Senza memoria perdiamo il senso delle nostre scelte e persino le grandi emozioni, la gioia e la sofferenza, divengono solo attimi privi di un concreto significato.

Nel Cristianesimo, il concetto di “memoria” si incarna nel rito. L’Eucaristia è fatta “in memoria di me”, come disse Gesù nell’Ultima Cena (Luca 22,19) e ci permette di rinnovare il legame con il divino aprendo il dialogo, nella nostra anima, tra il tempo e l’eternità.

Così, quando Monsignor Vincenzo Paglia ci ha offerto di ricordare, con una messa, che si è celebrata il 24 maggio nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, Santuario dei Nuovi Martiri del XX e del XXI secolo, i 28 magistrati assassinati e le persone uccise con loro, ne siamo stati felici. Monsignor Paglia, durante la cerimonia, ci ha rammentato come l’arcivescovo Oscar Romero, in una omelia per un suo prete ucciso dagli squadroni della morte, pochi mesi prima del suo assassinio, avesse sottolineato che: “il Vangelo chiede a tutti i cristiani di essere martiri, ossia di dare la propria vita per gli altri. Ad alcuni chiede – come a questo prete – di darla fino al sangue, ma a tutti chiede di dare la propria vita per aiutare quella degli altri”.

In Italia le vittime della ferocia della mafia e del terrorismo sono state moltissime. Non solo magistrati. Carabinieri, poliziotti, giornalisti, avvocati, professionisti, professori, sacerdoti: non c’è categoria che non abbia avuto i propri martiri. Molti di questi magistrati, come Tartaglione e Minervini, rifiutarono le scorte che erano state messe a loro disposizione, perché non volevano che altro sangue, oltre il loro, potesse essere versato. Altri vennero abbandonati nella loro eroica solitudine. Senza neppure tentare di proteggerli.

Ha scritto Walter Benjamin che «la storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di attualità». Questa conclusione vale ancora di più per lo Stato italiano, che è riuscito a dare un senso compiuto alla sua storia recente solo grazie al sacrificio delle moltissime vittime del terrorismo e della mafia. Proviamo ad immaginare che quanto accaduto nel recente passato possa essere, all’improvviso, dimenticato: che delle stragi non si serbi più alcun ricordo, che degli assassinii dei magistrati, delle loro scorte, di tante persone senza alcuna colpa, venga persa ogni memoria. Cosa accadrebbe?

Sarebbe compromessa, in modo irreparabile, la nostra identità. Torneremmo ad essere schiavi: schiavi della mafia, del terrorismo, della violenza, del totalitarismo, delle nostre paure.

Ricordare chi è morto per noi è l’unico strumento per conservare la nostra identità, per combattere tutti i totalitarismi che mirano, non da oggi, a cancellare la nostra coscienza. Mario Rigoni Stern, rievocando Primo Levi e il suo lascito morale, ha scritto che “la memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare”. É un monito di grande attualità.

Stefano Amore

Magistrato curatore del libro “Ritratti del coraggio. Lo Stato italiano e i suoi magistrati

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