Se una pandemia è mondiale è ovvio che le cose debbano essere valutate in una dimensione universale. Anche se è altrettanto vero che ogni paese ha l’obbligo di pensare alla salute dei propri cittadini. Un equilibrio è però necessario perché altrimenti si finisce illusoriamente a credere che la soluzione del proprio problema vaccinale sia di per sé esauriente ed esaustivo. La globalizzazione, lo si è constatato oramai ripetutamente, è tale nel bene e nel male e non si riesce a prendere di essa solo quello che fa comodo.

Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha ancora una volta ricordato che molto meno del 2% della popolazione africana è stata completamente vaccinata e che, pertanto, è necessario che i paesi ricchi superino quello che ha definito il ” nazionalismo dei vaccini”, a cui il suo paese può rispondere con l’avvio di una libera produzione visto che le nazioni più forti stanno dando vita ad una vera e propria forma di accaparramento delle dosi disponibili  ( CLICCA QUI ).

Sul tema dei rapporti tra le diverse aree del mondo in tema di vaccinazioni siamo già intervenuti ( CLICCA QUI ) così come abbiamo fatto per registrare la vera e propria “guerra” commerciale che si è scatenata tra i grandi produttori ( CLICCA QUI ). Oggi, il nostro amico Parenti ( CLICCA QUI ) ci fornisce una serie di dati impressionanti su tutto quello che significa il giro d’affari che riguarda la questione del vaccino anti Covid-19 ( CLICCA QUI )  riproponendo la questione della liberalizzazione dei brevetti alla luce del fatto che questa pesa cinque volte tanto sul business in questione  , tema su cui si è già registrata una diversità di opinioni tra il Presidente americano Joe Biden, favorevole, e l’Europa che, invece, vuole lasciare il sistema dei brevetti cos’ com’è ( CLICCA QUI ).

Un tema che, comunque, resta aperto e in cui s’inserisce, sotto il punto di vista di un’altra prospettiva, l’immunologo Mauro Minelli coordinatore per il Sud Italia della Fondazione per la Medicina Personalizzata. Constatando il diffondersi dell’atteggiamento da “No -vax “, egli propone che i propugnatori di questa posizione “donino i loro vaccini alle persone dei paesi poveri, alle quali il vaccino non arriverà mai“. Secondo Minelli, infatti, ” il problema si articola intorno ad una semplice domanda: quanto è grande il rischio di non vaccinare per tempo le popolazioni dei Paesi più poveri, rispetto alla possibilità di permettere al virus di continuare a circolare e a mutare pericolosamente?”

Minelli fa propria la constatazione di Kenyatta e registra il sostanziale fallimento del  programma Covax, dell’aprile 2020, promosso dall’Oms insieme a Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) e Gavi Alliance, l’ente di cooperazione mondiale tra soggetti pubblici e privati creato proprio per garantire l’immunizzazione per tutti.

“Rispetto ai nobili intenti originari e considerando che ad accaparrarsi la più gran parte delle dotazioni vaccinali disponibili avevano già provveduto i Paesi ricchi – dice Minelli – Covax al momento è riuscita a fornire ai Sud del mondo poco meno del 4% delle dosi potenzialmente disponibili. Come dire che il Sars Cov-2, oltre a tutte le sue malefatte, è pure riuscito a rimarcare le disparità, facendoci capire che il mondo non è tutto uguale e che paradossalmente, per una sorta di karma compensatorio, la disuguaglianza si può ripercuotere proprio sui Paesi più dotati”.

Secondo l’immunologo “l’Occidente sbaglia a pensare che sia sufficiente vaccinare i propri cittadini per uscire dalla crisi, tanto più nel momento in cui le varianti incalzano e, tra loro vicendevolmente contaminandosi (come nel caso della Delta+) soprattutto in aree del mondo non vaccino-protette, minano alla base una sicurezza che erroneamente si riteneva già acquisita”.

“Non possiamo trascurare questi aspetti che, ancor di più nel momento in cui si anima nelle piazze la già vivace protesta degli antagonisti della vaccinazione, dovrebbe farci riflettere sul fatto che altrove, dove i vaccini anti-Covid non arrivano, ci sono ospedali nei quali non è possibile curare nemmeno le malattie più comuni – avverte – E la contraddizione balza talmente tanto agli occhi che ci sarebbe da chiedersi: a fronte della invocata ‘libertà’ di non vaccinarsi, dunque, perché non farsi autorizzare dai “no-vax ad utilizzare il vaccino che loro rifiutano, per cederlo a persone che, pur ambendo tanto a farlo, verosimilmente quel vaccino, forse, non lo riceveranno mai”.

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