La promessa del governo di ridurre “drasticamente i costi delle transazioni cashless” si è scontrata con la realtà dei fatti: tagliare ulteriormente le commissioni a un sistema complesso e farraginoso è semplicemente impossibile. A meno di non voler rischiare che a un taglio del costo delle transazioni faccia da contraltare un aumento di nuove spese collaterali. Si spiega così l’intesa – raggiunta su base volontaria – di azzerare le commissioni per gli esercenti su tutte le transazioni fino a 5 euro e non oltre. Un’intesa al ribasso che rischia di scontentare tutti perché non sembra tenere in considerazione la filiera sulla quale si reggono i pagamenti digitali.

Per capire quanto la struttura sia complessa è intricata, basti sapere che i soldi di ogni operazione effettuata da un compratore passano di mano virtualmente cinque volte prima di arrivare al merchant: cinque passaggi immediati, ma che devono essere comunque remunerati. Sia che si tratti di un importo da migliaia di euro, sia che riguardi pochi centesimi. “Non pagare questi passaggi sarebbe come dire al benzinaio che i primi cinque litri di benzina sono gratis” dice un manager del settore.

E in effetti la catena è piuttosto lunga: il consumatore paga un canone annuo all’issuer, il soggetto che emette la carta di pagamento e autorizza le transazioni provvedendo poi all’addebito verso il cliente. Un’operatività per la quale l’issuer addebita una commissione all’acquirer che ha gestito la transazione: nel 2015, il Regolamento dell’Unione europea ha fissato un tetto alle commissioni dello 0,2% per le transazioni con bancomat e dello 0,3% per quelle con carta di credito.

L’acquirer, a sua volta, è il soggetto che gestisce il pagamento e versa il dovuto al merchant – il negozio dove si finalizza l’acquisto – assicurandosi che l’addebito sia a carico dell’issuer. Per questa attività, l’acquirer addebita un’altra commissione al merchant. In mezzo ci sono i circuiti delle carte (come Mastercard e Visa) che gestiscono e regolarizzano l’accettazione delle carte aderenti al proprio ambito. Un servizio che viene remunerato con un’altra commissione.

Una filiera che dovrà continuare a essere remunerata anche per le transazioni inferiori ai 5 euro. Di conseguenza, se i pagamenti con carta e pagamenti per le piccole spese dovessero rivelarsi un successo, a rischiare il collasso potrebbe essere il comparto bancario costretto ad assorbire le commissioni di ogni transazione. A meno che i costi non vengano ribaltati immediatamente sulla clientela con un aumento delle gabelle “nascoste”: dal canone del Pos alla gestione dei conti. Piccoli balzelli quasi invisibili che permetterebbero al sistema di restare in equilibrio.

Motivo per cui diversi esperti criticano le decisione del governo di fissare una soglia sotto la quale non si pagano le commissioni: “In Italia – spiega un manager che preferisce restare anonimo – le commissioni, nel loro complesso, sono inferiori alla media europea. Il problema sono piuttosto i costi applicati dalle banche, soprattutto ai danni di esercenti poco attenti. E adesso il rischio è che i canoni aumentino ancora anche perché le soluzioni, per chi vuole risparmiare ci sono”.

Secondo l’Abi le commissioni medie per transazione, in Italia, si aggirano intorno all’1,1%: a spingerle verso il basso è stata la pressione del comparto Fintech dove sono nate quelle soluzioni alternative ai pagamenti elettronici tradizionali. Basti pensare, per esempio, all’italiana Satispay che ha eliminato tutti i passaggi intermedia tra chi compra e chi vende trasferendo direttamente i soldi da un account all’altro: in questo modo per gli acquisti fino a 10 euro, l’esercente non paga nulla; per quelli superiori la commissione è fissa a 20 centesimi.

A questo punto il vero interrogativo è quanto il modello attuale sia in grado di reggere la concorrenza del fintech, considerando che ormai anche il Pos stesso può diventare un software. Certo se il cashback di Stato e le detrazioni fiscali per gli esercizi fino a 400mila euro di fatturato dessero quella spinta che si augura il governo alla digitalizzazione dei pagamenti, probabilmente l’aumentare dei volumi garantirebbe l’intera filiera ancora per qualche anno. Tempo utile a modificare e migliorare il modello di business per ridurre i costi senza che a imporre il prezzo sia lo Stato.

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