In una recente intervista a Crux, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro per i rapporti con gli Stati, ha detto che la Santa Sede guarda con interesse al Piano Abramo promosso dagli Stati Uniti in Medio Oriente, che consiste nella normalizzazione dei rapporti di Israele con Emirati Arabi e Bahrein. Tuttavia, il Piano di Abramo preoccupa lo Stato di Palestina.
Issa Kassisieh, ambasciatore di Palestina presso la Santa Sede, ha spiegato ad ACI Stampa che “ci sarà una pace durevole e inclusiva in Medio Oriente solo quando il popolo palestinese raggiungere la sua aspirazione nazionale di auto-determinazione, inclusa quella al suo Stato indipendente e sovrano nei confini internazionalmente riconosciuti nel 1967”.
L’ambasciatore ha detto che avrebbe preferito che Emirati e Bahrein rispettassero il Consenso Arabo basato sull’iniziativa di Pace Araba,, che già “delineava una road map per una normalizzazione dei rapporti tra lo Stato di Israele e il mondo arabo e musulmano”.
L’ambasciatore ha detto che “come principio” non interferiscono sulle decisione degli Stati, ma ha chiesto di non usare la causa palestinese come “una foglia di fico”, e denunciato che Israele ha annunciato il 14 ottobre 2.166 nuovi insediamenti sulla West Bank.
L’ambasciatore Kassisieh ha poi detto che da quando il presidente Trump ha unilateralmente dichiarato Gerusalemme come “capitale dello Stato di Israele”, Israele ha “accresciuto le sue politiche illegali a Gerusalemme Est, in un tentativo di cambiare le caratteristiche demografiche e geografiche della città e di colorarla con un solo colore, distorcendo così la bellezza del mosaico dato dalla città di Gerusalemme”.
L’ambasciatore di Palestina ha notato che anche il quartiere cristiano viene colpito da “queste politiche egemoniche”, ricorda il caso della Porta di Jaffa – una proprietà ortodossa acquistata da sigle nazionaliste ebraiche – che ha suscitato l’intervento delle Chiese in Terrasanta, sottolineato che l’ufficio legale del Patriarcato Latino di Gerusalemme ha messo in luce “il numero di palestinesi il cui status residenziale è stato revocato”, nonché i numeri delle richieste di riunificazione famigliare, specialmente quando uno degli sposi viene dall’area di Betlemme e l’altro dalla città di Gerusalemme.
L’ambasciatore ha sottolineato che “il Vaticano non può rimanere ad osservare la cristianità scomparire senza agire”, e, rapporti alla mano, ha denunciato che ci sono state 141 strutture “demolite pienamente o parzialmente a Gerusalemme Est quest’anno”, con 358 persone sfollate.
Kassisieh ha anche ricordato la richiesta di una conferenza sullo status di Gerusalemme che il presidente Palestine Mahmoud Abbas ha reiterato durante l’Assemblea generale onU del 25 settembre 2020. “La Santa Sede – ha detto l’ambasciatore – può essere un grande catalizzatore positivo nel processo. Dobbiamo ricordare che la Santa Sede ha descritto già nel 1947 l’area di Gerusalemme e il suo hinterland come corpus separatum. È un concetto che potrebbe ancora avere un rilievo, se consideriamo che la Città Santa e i suoi santuari appartengono all’umanità e a milioni di seguaci fedeli delle religioni abramitiche”.
L’ambasciatore ha quindi denunciato che “l’attuale politica di esclusivismo per il beneficio di un solo partito alle spese degli altri creerà ulteriori politiche coercitive e oppressive”.
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