In questi giorni, le urgenze del mondo della scuola sembrano orientate esclusivamente verso la riapertura o meno degli istituti e il complesso rapporto, in tempi di pandemia, del diritto allo studio versus il diritto alla salute. Senza nulla togliere a questo cruciale confronto, vorrei qui proporre un percorso di riflessione apparentemente meno urgente, ma, a mio avviso, proficuo per la scuola di medio termine, visto che lo stesso Miur ha introdotto la possibilità concreta dei patti di comunità.

La scuola è il principale soggetto che può rimuovere “gli ostacoli, di ordine economico e sociale”, per l’effettiva uguaglianza fra i cittadini, permettendone la piena realizzazione (art.3 della nostra Carta Costituzionale). Per questo difficile compito, i nostri legislatori hanno ampliato sempre più le possibilità di collaborazione fra gli istituti scolastici e la società civile, in particolare la famiglia: dagli organi collegali del 1974, all’autonomia e personalità giuridica concessa alle scuole nel 1997, per ampliare l’offerta formativa secondo le “esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realta’ locali”, al “patto di corresponsabilità” del 2007, firmato dai genitori che iscrivono un proprio ragazzo ad un istituto scolastico, alle Linee di indirizzo del 2012, dove si parla di “progettazione partecipata e responsabilità condivise fra scuola e famiglia.

Nel Piano scuola 2020/21, del giugno scorso, il Ministero dell’ Istruzione va oltre, proponendo i “patti di comunità”: essi coinvolgono “vari soggetti pubblici e attori privati, in una logica di massima adesione al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa”, su “singole proposte di cooperazione”, con modalità realizzative da concordarsi. Dopo aver sperimentato in altri settori (protezione civile, assistenza agli ultimi…) le potenzialità del terzo settore, lo stato si apre al principio di sussidiarietà anche nei percorsi educativi. I collaboratori -privati cittadini, famiglie, associazionismo, società sportive…-, quali riconosciuti “componenti della Repubblica, sono impegnati nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’ educazione, fortificando l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici”. In tale passaggio, c’è il riconoscimento di una fase adulta delle agenzie educative esterne, che possono intervenire alla pari, almeno per il progetto che propongono, in una visione più attiva del concetto di cittadinanza. Sicuramente a causa delle urgenze educative attuali, viene valorizzato quello che è stato definito con felice espressione il “battito della comunità”, il “respiro del territorio”, il genius loci in ambito formativo: una rete di agenzie educative, collaboranti con le scuole, che contribuiscono attivamente a formare le nuove generazioni, tenendo conto dei bisogni e degli stimoli del territorio. Se ad oggi sono necessari soprattutto progetti che colmino il vuoto educativo causato dalla pandemia, le possibili collaborazioni future sono infinite.

Non tutti gli Uffici scolastici regionali hanno adeguatamente valorizzato questa innovazione. Ci è parso ottimo il commento al Piano scuola ‘20-’21 relativo ai patti di comunità della Regione Emilia Romagna, reperibiule online. Ma i territori e le comunità locali hanno immediatamente recepito la novità e le possibili applicazioni di tali patti. Molti esempi sono già reperibili in rete. Ne cito qui alcuni, privilegiandoli perché ne conosco direttamente i promotori.

A Prato, nel quartiere del Villaggio Gescal, dove abitano famiglie, anche di altre etnie, che hanno ottenuto dal Comune una casa popolare, l’Associazione Polis offre all’istituto comprensivo d. Milani e all’ Istituto Professionale Marconi un doposcuola sui generis. Su segnalazione delle scuole, vengono seguiti di pomeriggio i ragazzi più fragili, che presentano difficoltà cognitive, linguistiche e socio-economiche. Il doposcuola “Romero”, che ha svolto per due anni le sue attività nel locale Centro Civico, dopo la pandemia si muove con rapporti personalizzati in didattica a distanza, con circa una cinquantina di giovani utenti. Gli insegnanti del doposcuola sono sia docenti in pensione, ancora motivati, che lavorano come volontari, sia universitari che l’Associazione forma con appositi incontri e che vengono retribuiti con una piccola somma oraria. La firma del patto è stata siglata da parte dei dirigenti scolastici, del direttore del Centro civico e quindi del Comune di Prato, dal presidente dell’ Ass. Polis. Se sarà possibile, sono previsti anche un cineforum e un mercatino dell’usato per le famiglie. Il progetto quest’anno ha vinto due bandi: uno del Comune di Prato e uno dell’Associazione Carlo Marchi di Firenze, da sempre sensibilissima ai percorsi civici.

In provincia di Torino, la dirigente dell’ Istituto Comprensivo “Villar Perosa”, che raccoglie ragazzi delle valli alpine piemontesi, ha siglato un patto con i comuni montani della sua zona per portare la connessione a tutti i paesi che ne erano rimasti privi fino ad ora. I suoi ragazzi, necessariamente in didattica a distanza, l’hanno spinta a realizzare -cercando il contratto più conveniente per tutti- quello che non era stato possibile. La dirigente ha inoltre creato una rete fra dirigenti scolastici piemontesi in modo da avere una piattaforma di confronto su temi comuni,  con un percorso di riflessione a partire dai problemi concreti delle scuole. Il progetto, dal significativo titolo “Teniamoci per mano”, ha vinto un bando  del Miur proprio sui patti di comunità.

Sandra Mugnaioni

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