Finalmente sono in tanti ad essersi svegliati e a denunciare che l’economia non va bene, che l’Unione Europea non va bene, che i governi sono inadeguati, che la gente è cattiva, che c’è poca solidarietà. Le crisi hanno in generale questo effetto, di risvegliare l’opinione pubblica, ma solo poche volte le denunce ottengono risultati destinati a durare nel tempo. Infatti, le proposte che circolano o sono del tutto fantastiche e irrealizzabili (ci dobbiamo sempre ricordare che il paradiso terrestre è stato perso e che un paradiso ci è bensì promesso, ma non su questa terra!) oppure si dimenticano di indicare con quali mezzi si possono raggiungere i fini che vengono indicati. Mi voglio soffermare qui su due questioni principali, il finanziamento della resistenza al coronavirus e della ricostruzione dell’economia e le sue modalità di realizzazione.

È stato detto e ridetto che il problema del finanziamento non è solo italiano, ma europeo e mondiale. Dunque è su questo che occorre far leva e non cercare di fare da soli. Ho persino letto che viene proposto di tornare alla lira per stampare moneta in quantità illimitata!! Questo sarebbe un modo per cercare di uscire dal problema attraverso una strada laterale, che produrrebbe più problemi di quelli già esistenti. Occorre invece insistere con proposte ben argomentate e ben costruite per far sì che le regole europee esistenti fin qui cambino, trovare alleanze, come il governo sta facendo, ma soprattutto essere credibili nei confronti di chi (come la Germania) ha la responsabilità di mantenere solido il sistema dell’euro. La condizionalità che loro chiedono – in sostanza, una supervisione da parte loro dell’estensione delle nostre spese – è dovuta alla perdita di credibilità dei governi italiani nel corso della storia passata, che si sono comportati più come governi sud-americani pronti a distribuire spesa pubblica senza limiti che come governi europei responsabili. Ora, sanno tutti che se una famiglia o un’impresa si è mal comportata nell’uso del credito in passato, avrà molta difficoltà a trovare qualcuno che continui a darle credito.

È giusto da parte nostra sostenere che, se abbiamo sbagliato in passato, non intendiamo ripetere gli errori, ma è inutile offendersi, dobbiamo capire che non è facile recuperare credibilità e dobbiamo quindi offrire qualche segno concreto di aver presente questo problema. Un segno potrebbe essere quello di aprire un conto separato delle spese connesse con gli effetti del coronavirus, in modo che siano tracciabili ex-post sia da noi italiani, sia dai nostri amici della UE; un altro segno potrebbe essere quello di proporre un monitoraggio congiunto delle spese non solo italiane, ma di tutti i paesi europei, da parte di un’Autorità europea che relazioni pubblicamente ogni trimestre su quanto fatto. In una situazione di emergenza, infatti, occorre agire prontamente e solo molto approssimativamente si può prevedere quanto ci possa volere, ma occorre ricordare che gran parte dei finanziamenti andranno poi a pesare sul debito pubblico, se non si vuole ingenerare troppa inflazione e dunque essere responsabili. Ora, l’idea dei coronavirus bond suggerisce che questo debito sia da considerarsi europeo e non nazionale, e quindi venga pagato con fondi europei. Tuttavia, anche in questo caso emerge un problema di reputazione: chi può garantire che i coronavirus bond non vengano utilizzati per scopi diversi da quelli per cui vengono istituiti? Restano quindi valide le proposte che facevo sopra per garantire trasparenza nella spesa.

E fin qui i problemi di finanziamento, che riguardano solo la prima parte dell’emergenza. La seconda parte del problema riguarda invece l’uso di tali fondi. Anche in questo caso, le regole vigenti vanno rimodulate, perché è evidente che occorre molta maggiore rapidità di spesa rispetto a quella normale. L’esempio recente di un decreto lunghissimo per acquistare in ritardo delle mascherine, tutto pieno di deroghe, la dice lunga. Ma c’è, come è noto, di ben peggio, e riguarda gli investimenti, di cui l’Italia ha un bisogno strutturale: i soldi ci sono, ma il progetto non riesce ad andare avanti. La mia idea è che vengano costituite delle Autorità settoriali, fatte di pochi esperti, i cui uffici abbiano il compito di semplificare le cose complicate (attualmente la maggior parte degli uffici è invece attiva nel complicare le cose semplici). Un progetto politico di ricostruzione dell’economia di ciascun paese va redatto, come avvenne al tempo del Piano Marshall, il quale non può però essere invocato come tale, perché aveva una caratteristica che non può certo assumere oggi, ossia venne interamente finanziato dagli Americani. L’esecutorietà di quei progetti deve poi essere garantita appunto da Autorità, che abbiano il potere non solo di derogare a regolamenti vigenti, ma anche di proporre il cambiamento di tali regolamenti, quando si rivelano ostativi.

Ci sono stati nella storia esempi di successo di tali Autorità. Forse la più famosa fu la Tennessee Valley Authority, che all’epoca del New Deal americano venne da Franklin Delano Roosevelt preposta alla bonifica, reforestazione e colonizzazione della Valle del Tennessee e funse da ispirazione per la nostra Cassa del Mezzogiorno, che pure va considerata un’istituzione analoga e che ottenne consistenti risultati per un paio di decenni. L’errore della Cassa fu di considerarla permanente, anche quando la sua utilità e la sua gestione divennero disfunzionali. Nel caso presente, tali Autorità andrebbero considerate temporanee e valutate sulla loro capacità di produrre risultati in tempi ragionevoli. E ragionevoli vanno considerati i tempi necessari per fare i lavori in maniera non solo efficiente, ma anche efficace, capace cioè di ottenere l’impatto economico e sociale previsto.

Un’ultima osservazione è utile. Qualcuno potrà chiedersi come una politica abituata alla lottizzazione dei “posti” in qualunque ente pubblico potrebbe essere all’altezza di indicare per le Autorità in questione persone adeguate. C’è un modo molto semplice per ottenere questo risultato: lavorare per obiettivi, così come viene fatto nel mondo privato. Chi non si rivela in grado di ottenere tali obiettivi verrà prontamente rimosso, senza aspettare tempi biblici, ma richiedendo un monitoraggio pubblico degli stati di avanzamento dei progetti, così da avere la situazione sotto controllo. Ai tempi della nostra ricostruzione IRI e ENI lavorarono con lena ottenendo grandi e rapidi obiettivi e contribuendo al miracolo economico. Le Autorità di cui parlo qui non dovrebbero gestire imprese pubbliche, come fu per IRI e ENI, ma facilitare la realizzazione dei progetti da parte di tutte le imprese in campo, senza escludere nessun tipo di impresa – privata, cooperativa, pubblica – mettendole tutte in collaborazione.

Vera Negri Zamagni

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