Le buone notizie non hanno mercato. Eppure le “Special Olympics”, le competizioni sportive tra ragazzi con disabilità mentale che si sono tenute a Torino – dove si è recata in visita anche Giorgio Meloni – la scorsa settimana, sono una buona notizia.

Si è trattato di un evento apparentemente minore o, almeno, trascurabile in questi giorni fiammeggianti di guerre e sfavillanti di pace, eppure merita di essere ricordato perché – solo che avessimo orecchie per intendere – ci riporta con i piedi per terra e ci pone una domanda stringente circa chi siamo davvero. I disabili, soprattutto ragazzi che fin dai loro primi anni di vita non riescono ad usare efficacemente le loro attribuzioni funzionali in campo cognitivo, non appartengono a quel mondo degli “scarti” umani contro cui, ripetutamente, ha alzato la voce Papa Francesco.

Al contrario, dobbiamo considerarli “testimoni privilegiati” del nostro comune essere umani. Infatti, nei disabili più gravi, spesso privi non solo delle facoltà cognitive, ma compromessi pure sul piano sensoriale e motorio, l’impoverimento o addirittura l’ assenza delle comuni facoltà funzionali non cancellano la loro singolare soggettività, tanto meno quella dignità originaria, incondizionata, irriducibile che, essendo ontologicamente fondata, appartiene, in sé e di per sé’, ad ogni essere umano, semplicemente in quanto tale. Anzi, la mostrano nella sua nuda, essenziale, sostanziale consistenza.

Senonché, viviamo dentro una cultura che tutto misura, compreso il valore umano, in termini, anzitutto, di efficacia produttiva e, sostanzialmente, disprezza chi non è in grado di competere nella dissennata corsa narcisistica all’ affermazione di sé, al prevalere sull’ altro, al successo personale. Spesso, anche in buona fede, insistiamo troppo sulla “relazionalità” del soggetto come fattore costitutivo del suo essere “ persona”.

Non è la relazionalità a creare la persona, ma piuttosto la persona a dispiegarsi in essa. In effetti è tale a prescindere, aperto al valore costitutivo della “trascendenza” perfino nelle condizioni cliniche di gravissima compromissione della coscienza.

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