INSIEME pubblica il III° Quaderno curato da Roberto Pertile, responsabile del Dipartimento delle Politiche Industriali, dal titolo “Questa economia non ama la persona” (CLICCA QUI).

Il quaderno è diviso in tre parti: 

-“A questa economia non piace la persona umana”

-“Prospettive economiche”

-“Il mondo del lavoro al femminile”

Quello che segue è il contributo di Maurizio Cotta,  dal titolo “L’Unione europea, la guerra in Ucraina, il gas”, elaborato nel gennaio 2023

 

L’invasione russa dell’Ucraina e la lunga e drammatica guerra che ne è seguita produrrà un riassetto importante dell’ultima area grigia dell’Europa costituita da Ucraina e Moldavia, un’area cioè la cui gravitazione verso la Russia o verso l’Unione Europea (e il sistema difensivo Nato) era in passato incerta. Al di là delle soluzioni territoriali al confine tra Ucraina e Russia che la fine della guerra consentirà o imporrà, è sufficientemente chiaro che l’Ucraina e la Moldavia si orienteranno nettamente verso occidente per garantirsi da rinnovate mire espansioniste russe. La Russia, se anche sarà riuscita ad assicurarsi dei guadagni territoriali nell’Est dell‘Ucraina, avrà perso completamente con questa guerra la possibilità di esercitare un controllo politico sull’Ucraina (per non parlare di progetti più fantasiosi di ristabilire una unità tra i due paesi). Anche la richiesta di una neutralità dell’Ucraina sembra oggi difficile da ipotizzare: l’Ucraina esigerà garanzie di sicurezza che la vicenda attuale ha mostrato possono giungere solo dai paesi occidentali.

Che forme specifiche assumerà l’integrazione dell’Ucraina nel contesto europeo non è dato ad oggi sapere con certezza, ma è altamente probabile che la strada dell’ingresso nell’Unione Europea sarà la prima ad essere percorsa (e forse con procedure abbreviate rispetto a passati ingressi). Per quanto riguarda il tema delicato della sicurezza dell’Ucraina e delle sue garanzie i problemi sono più complessi ed è difficile prevedere un pieno inserimento nel sistema di sicurezza Nato, ma qualche forma di tutela anche militare non potrà non essere predisposta almeno per il medio periodo.

La vicenda di questa guerra non è solo destinata a portare cambiamenti importanti nella collocazione dell’Ucraina (e presumibilmente della Moldavia) negli assetti europei, ma anche a ripercuotersi sulla principale organizzazione politica collettiva del Continente, cioè l’Unione Europea.

L’apparire della guerra (e di una guerra grande) sulla scena dell’Europa mette in discussione gli schemi mentali sulla base dei quali l’Unione Europea e i suoi stati membri hanno operato e sollecita un ripensamento della UE stessa, di che cosa essa sia e dei suoi rapporti con il mondo.

Negli anni passati è prevalsa più o meno esplicitamente la concezione dell’Europa (in realtà della UE) come “potenza civile” (CPE cioè Civilian Power Europe). L’idea cioè che l’Unione Europea potesse esercitare la sua positiva influenza nel mondo grazie al suo modello democratico da esportare e alla sua potenza commerciale senza aver bisogno di una politica estera e di sicurezza comune (se non in forme estremamente evanescenti). Questa posizione scontava, più o meno coscientemente, alcune essenziali condizioni: che gli equilibri mondiali di sicurezza fossero garantiti dagli Stati Uniti, che il sistema mondiale (e quello europeo in particolare) fosse fondamentalmente pacifico e che con la globalizzazione la dimensione economica prevalesse su quella politico-militare nei calcoli delle convenienze.

Naturalmente questa pre-comprensione di sé stessa da parte dell’Unione Europea dipendeva anche dal fatto che la graduale ma al tempo stesso portentosa costruzione di una unione pacifica di stati sovrani era potuta avvenire più facilmente sul piano economico e del mercato dove gli stati membri erano più disponibili a cedere parte della loro sovranità riconoscendo i chiari vantaggi di un grande mercato unificato che non in altri campi politicamente più sensibili come la politica estera e di difesa.

Questa visione, che in un certo senso potremmo definire “economicistica”, e che ha guidato i paesi dell’Unione si è manifestata con tutta evidenza nella questione delle materie prime e in particolare del gas.

In un contesto ritenuto sostanzialmente pacifico e stabile sembrava che le relazioni con la Russia, grande produttore di materie prime, potessero essere largamente basate su un sistema di scambi economici mutuamente favorevoli. Materie prime e in particolare gas (distribuito attraverso pipelines) a prezzi favorevoli sul lato della Russia in cambio di prodotti tecnologici avanzati e beni di lusso (automobili di alta gamma, fashion, prodotti per la casa, ecc., molto ambiti dalla nuova borghesia russa) sul lato dell’Europa occidentale. Come succede negli scambi economici tutte e due le parti avevano un vantaggio chiaro e sostanzioso. E certamente queste intense relazioni economiche creavano un quadro cooperativo interessante (e difeso da gruppi di interesse potenti).

In questo quadro i due grandi gasdotti North Stream1 (2006-2010) e North Stream2 (avviato nel 2010), attraverso i quali una parte molto consistente dell’approvvigionamento di una risorsa energetica indispensabile per l’Europa sarebbe arrivata da Mosca, si presentano come due esempi di grande rilievo di questa modalità di relazioni.  Prendiamo il caso del North Stream1, era abbastanza chiaro che tutti guadagnavano da questa grande torta: la Russia con un flusso enorme e regolare di entrate; la Germania con gas a prezzi economici, la produzione di tubi, ma anche una notevole “buonuscita” per l’ex-cancelliere Schroeder che otteneva una carica di vertice nella società  North Stream1; l’Italia con la Saipem che posava i tubi, l’Inghilterra con le turbine della Rolls Royce; la Francia con la partecipazione al consorzio di GDF-Suez; l’Olanda con gli scavi della Royal Boskalis, la Svizzera dove, per la maggiore discrezione del sistema finanziario, sarebbe stata registrata l’azienda di gestione, la Finlandia che otteneva un braccio del gasdotto. Già con il North Stream1 si alzavano però le critiche polacche e ucraine: il gasdotto serviva l’Europa occidentale, ma tagliava fuori Europa orientale e rendeva meno rilevanti i precedenti gasdotti che passavano da questi paesi. Queste critiche non toccavano la convenienza economica dell’impresa ma le sue implicazioni politiche e in particolare il potenziale di questa soluzione di dividere il campo europeo.

Queste osservazioni non furono prese in considerazione e anzi già nel 2011 veniva progettato il raddoppio con il North Stream2. E’ interessante notare che l’avvio concreto di questo progetto nel giugno 2015 avveniva quando la Russia aveva già illegalmente annesso la Crimea (dopo un referendum manipolato) e de facto anche buona parte delle due regioni di Lugansk e Donetsk.

In sostanza la Germania in particolare, cioè uno dei paesi guida dell’Unione Europea, ma accompagnata anche altri paesi, chiudeva gli occhi sulla natura della Russia sotto la leadership di Putin. Per ragioni che qui non è possibile ripercorrere la dirigenza russa pensava ormai sempre più in un’ottica politica di riaffermazione del suo ruolo di grande potenza e vedeva in questa politica lo strumento per rafforzare il consenso popolare intorno a sé. In questa prospettiva le risorse energetiche non rappresentavano più primariamente uno strumento di potenziamento dell’economia del paese, ma uno strumento strategico di affermazione del ruolo politico della Russia. Mentre la Germania e l’Unione Europea continuavano a ragionare soprattutto in termini economici (anche perché su questi avevano sviluppato il benessere e il consenso del proprio paese) la Russia si stava spostando sempre di più sul piano della power politics. L’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 avrebbe chiarito senza più ombre di dubbio quali erano le priorità russe.

A questo punto si imponeva un profondo ripensamento anche da parte dei paesi europei e della Unione. Al calcolo economico si doveva sostituire quello politico strategico nonostante i suoi costi (economici). E quindi i paesi europei e poi faticosamente l’Unione hanno affrontato il tema delle materie prime non più solo in termini economici ma anche in un’ottica politica per la quale la dipendenza da un paese diventa una minaccia.

Proviamo a trarre allora qualche conclusione. Cooperazione e scambi sono certamente strumenti importanti per incoraggiare la coesistenza tra gli stati, ma non si può sottovalutare il fatto che dipendenze troppo marcate da un paese per quel che riguarda beni essenziali possono aprire a ricatti politici molto seri. La pace in Europa, aspirazione che tutti dovremmo perseguire, richiede la costruzione di accordi ed equilibri politici che tengano conto delle profonde diversità che esistono tra i principali attori della scena (Unione Europea, singoli stati, Russia) e che riaffermino alcuni principi basilari (a partire dal rispetto della integrità territoriale di tutti i paesi e dalla rinuncia risolvere con le armi i conflitti) senza i quali il controllo della violenza è impossibile.

La terribile e sanguinosa guerra in Ucraina dovrebbe almeno lasciare questo insegnamento. L’Unione Europea ha in questo contesto una responsabilità fondamentale nel contribuire a costruire un solido disegno di pace per il nostro continente.  E, pur con tutti i suoi limiti, ha nei suoi principi costituivi elementi importanti che possono ispirarlo.

Maurizio Cotta

 

 

 

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