Era solo un paio di mesi fa, e in Italia il management aziendale era tutto concentrato nell’individuare le azioni più efficienti per cogliere le opportunità della ripresa economica post pandemia. Ovviamente, dopo l’aggressione russa e la guerra in Ucraina il quadro di riferimento è cambiato radicalmente.
Sovente negli eventi bellici c’è molto spazio per la speculazione più spregiudicata; nel nostro caso è così fino ad un certo punto. Viene messa in discussione la struttura di importanti mercati di approvvigionamento, soprattutto energetici, frazionati anche per effetto di errori di valutazione delle dinamiche sia economiche che geopolitiche , a seconda dell’accettazione passiva di modelli di globalizzazione, dove i prezzi delle materie prime strategiche variano significativamente di ora in ora. Non solo nel breve periodo, ma anche nel medio ci sono aumenti nei costi di produzione e della logistica, tali da non poter essere riportati dalle politiche aziendali ai livelli più bassi precedenti gli eventi bellici.
Questa ridotta elasticità porta con sé la ricerca di recupero di produttività a spese del fattore lavoro. Ne consegue un aumento della fragilità dei lavoratori. Le ragioni di una giusta remunerazione di quest’ultimi sono sacrificate al lievitare dei costi, ad un contenimento degli aumenti dei prezzi per ovvie ragioni di concorrenza sui vari mercati. A questa globalizzazione “selvaggia” (senza più regole) si aggiunge l’inflazione, che sta erodendo il potere di acquisto, in particolare dei gruppi sociali più deboli con gli aumenti di prezzo, già riscontrabili , ad esempio nella filiera alimentare.
A fronte di questa congiuntura negativa c’è la richiesta, da parte delle rappresentanze politiche e sindacali, di un intervento governativo di riduzione degli oneri fiscali sul lavoro (cuneo fiscale ) e di stipula di accordi internazionali per forniture di gas naturale a prezzi più competitivi. É senz’altro conveniente agire sui vari mercati di approvvigionamento, e altrettanto rivedere le filiere tecnologiche messe in discussione dagli eventi geo-politici , che prevedono di ridisegnare la geografia della globalizzazione.
La tutela dei lavoratori dall’attuale avversa congiuntura, nel breve periodo, può essere perseguita con misure di sussidi monetari (defiscalizzazione), tuttavia non si risolve la crescente fragilità del mondo del lavoro e l’ingiusta redistribuzione dei redditi, sempre più a favore del Capitale. Va detto però che dagli anni settanta ad oggi, con questa politica congiunturale non sono stati raggiunti grandi risultati: il sistema produttivo italiano è tra i paesi occidentali a più bassa produttività e presenta un tasso modesto di dinamismo tecnologico. Sostanzialmente, non vive di luce propria e beneficia delle sinergie esistenti con le economie più forti.
Nella misura in cui le imprese italiane hanno difficoltà ad aumentare il valore aggiunto dei loro prodotti, e per farlo, il più delle volte, devono operare sul costo del lavoro, la fragilità sociale è evidente. Siamo sempre più convinti che i tempi sono maturi per una politica industriale di tipo strutturale e selettiva. Due campi di intervento: formazione/educazione e ricerca & sviluppo /innovazione. Intervento pubblico: università, centri di ricerca, istituti di formazione. Programmi d’investimenti pubblici a medio-lungo termine diretti in strutture ”pubblico-privato”. Un deciso no ai sussidi monetari e a pioggia, sì allo sviluppo di strutture che garantiscano la qualità del servizio e la sua durata nel tempo , superando la caducità congiunturale. Sì ad un sistema di imprese con un alto margine di profitto da redistribuire; sì ad un lavoro di alta qualità, remunerato in misura pari a quella delle economie più avanzate; sì ad un’economia industriale in sintonia con i nuovi assetti mondiali.
Infatti, la nuova globalizzazione, conseguente al nuovo quadro politico internazionale, impone una visione almeno europea del mondo del lavoro. Come suggerisce Pietro Ichino, in “L’intelligenza del lavoro”, è indispensabile una politica attiva per l’utilizzo degli importanti “giacimenti occupazionali” esistenti a livello continentale, il cui utilizzo, scrive Ichino, può modificare i rapporti di forza tra il capitale e il lavoro, a favore dei lavoratori. I lavoratori, cioè, devono possedere una “nuova intelligenza del lavoro “ utile a capire e a gestire gli aspetti del mercato del lavoro a proprio vantaggio.
Su questi temi del lavoro, ”INSIEME”, il recente partito che si ispira ai principi del cattolicesimo democratico, esprime, con una petizione sul lavoro e sulla produzione (per firmarla CLICCA QUI), la sua preoccupazione per l’affermarsi di una cultura sempre più assistenzialista a discapito delle politiche attive, aumentando così la spesa assistenziale.
INSIEME propone, tra l’altro, nella sua petizione per il lavoro, la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, perché siano attori responsabili e intraprendenti all’interno di quella comunità produttiva che è l’impresa.
INSIEME, per la tutela del mondo del lavoro e della produzione, insiste sulla importanza dello sviluppo dei lavori di qualità, capaci di internalizzare le conoscenze tecniche aperte alla trasformazione digitale, idonee ad aumentare la produttività con effetti positivi sulla crescita delle retribuzioni dei lavoratori.
Roberto Pertile