Il 18 aprile del 1948 l’Italia fece una scelta precisa. E fu merito principale di Alcide De Gasperi. Che tra i suoi disegni aveva sempre avuto, tra gli altri, quello di un’Europa democratica, popolare e di pace. Ed è quello che è sottolineato nell’articolo che segue di Michele Rutigliano

Nel suo vigoroso discorso del 10 dicembre 1951 a Strasburgo, Alcide De Gasperi delineò, per l’Europa, una visione profetica.  Per un futuro pacifico del vecchio continente,  ribadì la necessità di una forza di difesa europea. Una forza intesa non come semplice strumento bellico. Tutt’altro!  La difesa europea, nella visione degasperiana , fu concepita e proposta come espressione di una nuova mentalità, fondata sulla libertà, sull’indipendenza e sulla collaborazione tra le rinate democrazie europee. Parlava ai padri fondatori dell’Europa, reduci dalla tragedia di due guerre mondiali. E già allora intuiva che il solo modo per garantire una pace duratura sarebbe stato dotarsi di una sovranità condivisa anche sul piano della sicurezza. “È assolutamente necessario – disse – che si trovi nei nostri paesi la collaborazione di tutte le forze democratiche e che ridesti nello stesso tempo in tutti i nostri amici, particolarmente in America, la fede nei destini dell’Europa”. Quelle parole risuonano oggi con forza drammatica, mentre una guerra infuria alle porte dell’Unione e la Russia, con l’invasione dell’Ucraina, tenta di ristabilire la propria sfera d’influenza sull’Europa orientale. La minaccia, ormai evidente, non si limita ai confini ucraini: in caso di cedimenti o disimpegni occidentali, la destabilizzazione dell’intero continente non è più un’ipotesi remota.

Un nuovo protagonismo europeo

In questo scenario, mentre il nuovo presidente americano lascia trasparire un disinteresse crescente verso l’alleanza atlantica, affiorano in Europa segnali di risveglio strategico. La consapevolezza che la difesa del continente non possa più poggiare unicamente sull’ombrello statunitense si fa strada con decisione. L’annuncio recente della Presidente della Commissione Europea, Ursula von derLeyen, che ha proposto un piano di riarmo coordinato tra i Paesi membri, va letto in questa chiave. Ma – come ha osservato Andrea Manzella sul Corriere della Sera – “l’altro valore della resistenza” non sta solo nella produzione di armamenti: risiede nella costruzione di una coscienza comune”. È questo il cuore della sfida europea, ieri come oggi. Esattamente ciò che De Gasperi auspicava settant’anni fa. Occorre superare la miopia sovranista e il disfattismo populista: una difesa comune europea non rappresenta una minaccia alla pace, ma la sua condizione necessaria. Non si tratta solo di fabbricare proiettili e carri armati, ma di edificare un’infrastruttura integrata fatta di deterrenza, interoperabilità tra forze armate, investimenti in tecnologie avanzate, sistemi antimissile come l’Iron Dome (Cupola di Ferro) israeliano, e soprattutto un comando strategico europeo, politico oltre che militare.

Italia ed Europa: il dovere della lucidità

Significa, in ultima analisi, creare una cultura condivisa della sicurezza, in grado di proteggere i valori fondativi dell’Unione: la pace, la democrazia, lo Stato di diritto. L’Italia, che ha nella sua storia figure come De Gasperi e una profonda vocazione europeista, deve fare la sua parte senza esitazioni. Non possiamo permetterci ambiguità: mentre Mosca minaccia e Washington vacilla, Roma ha il dovere di spingere per un’accelerazione concreta del processo di integrazione difensiva. Non possiamo restare inerti, né cullarci nell’illusione che un esercito nazionale possa fronteggiare da solo minacce globali o ibride. L’Europa ha conosciuto ottant’anni di pace, un fatto senza precedenti nella sua storia  tormentata. Ma la pace non è mai data per acquisita: è un equilibrio delicato che va tutelato giorno dopo giorno, anche attraverso strumenti militari laddove necessari, ma soprattutto con lucidità, unità e visione strategica. Tornare a Strasburgo, a quelle parole di De Gasperi, non è solo un doveroso esercizio di memoria storica: è oggi, più che mai, un’urgenza politica e civile per le generazioni presenti e per quelle che verranno.

Michele Rutigliano

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