Siamo al 79° anniversario di fondazione della Repubblica.

Il 2 giugno 1946,data del referendum istituzionale, si recarono alle urne circa 25 milioni di italiani, pari all’89,08% degli aventi diritto.  C’era motivo di festeggiare  anche se solo poco più di dodici milioni di persone (12.717.923 per la precisione) avevano scelto di diventare cittadini mentre un numero non indifferente (10.719.284) preferivano rimanere sudditi. Sì, perché nella Repubblica si è o si diventa  cittadini ; nella monarchia si è e si rimane sudditi.

C’era qualcosa di speciale che giustificava la celebrazione. Ma come si spiega il numero consistente di coloro che avrebbero preferito vivere da sudditi in una monarchia nonostante che, dopo l’armistizio, il Re d’Italia Vittorio Emanuele III li aveva abbandonati ?

E’  probabile che nell’Italia del 1946 l’idea del capo tuttofare fosse stata  rassicurante; ma nell’Italia di oggi, dopo 77 anni di Costituzione repubblicana, perché nei cittadini( almeno formalmente non più sudditi) resiste ancora la stessa idea sia pur con i dovuti aggiornamenti?

Insegna Piero Calamandrei che la Costituzione non è un semplice pezzo di carta ma un “corpo vivo“  del quale ogni cittadino deve prendersi cura, animarlo e sostenerlo col proprio costante impegno. In altri termini, se il monarca ( non quello costituzionale), il duce, il capo  dicono: “ tranquilli, faccio tutto io…”, la repubblica e la democrazia al contrario vivono e prosperano se il tutto è pensato e voluto da tutti, con la responsabilità che occorre in ogni frangente.

La responsabilità, appunto, è la cartina di tornasole del grado di sovranità che come recita il primo articolo della Costituzione ( e non per caso è il primo dei principi fondamentali) appartiene  al popolo (sottinteso, solo al popolo). Nella repubblica il potere è esercitato solo dal popolo che è composto da tutti, nessuno escluso come vuole l’altro principio fondamentale, la pietra angolare dell’intera costruzione costituzionale, il principio di uguaglianza formale e sostanziale scolpito nell’art.3.

Oggi però non celebriamo la festa della repubblica così come concepita nella Costituzione ma di quel poco che ancora resta della repubblica.

Cosa ci siamo persi ?  Dei tanti pilastri che sono stati erosi ( nella speranza che non vengano definitivamente abbattuti)  ne cito solo tre:

  • La piena attuazione dell’art.49 della Costituzione.

I partiti sono governati da un capo, un sovrano assoluto, un “cesare” imperatore. Ai vertici dei partiti si accede per fedeltà  al capo a prescindere dai meriti. Il “ cursus honorum “ è in larga parte volutamente ignorato. Così si spiega la generale resistenza alla piena attuazione dell’art.49 della Costituzione con la triste conseguenza che oramai oltre il 50% del corpo elettorale diserta le urne. Ma ciò che più deve preoccupare è che questo schema di vassallaggio si è infiltrato come un virus anche nel tessuto connettivo del corpo sociale.

  • La repubblica democratica fondata sul lavoro: il diritto dei diritti.

L’art.1 della Costituzione sottolinea la centralità del lavoro nella vita umana e nella società e stabilisce il principio secondo cui la repubblica è  “ democratica “ perché “ fondata sul lavoro “.Ma se il lavoro non c’è, è precario, è povero, è mal pagato, la tassazione dei redditi da lavoro è  infinitamente più alta di quella della rendita da capitale e la politica fiscale è orientata alla riduzione della progressività e proporzionalità delle imposte per approdare ad una sola aliquota valida per tutti i contribuenti (c.d. Flat Tax) anche se i contribuenti tutti eguali non  sono, la democrazia insieme con il principio di solidarietà sancito dall’art.2 della Costituzione sono  ridotti ad una mera astrazione.

  • Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge (art.3 della Costituzione)

Non tutti i cittadini hanno pari dignità; sussistono e resistono ancora forme di discriminazione di genere, di razza, di lingua, di religione , di opinioni politiche e  financo di condizioni personali e sociali. Taluni cittadini sono più eguali di altri per la ricchezza spesso ostentata, la fama e il potere.

Resiste in gran parte dell’opinione pubblica il virus iniettato da taluni partiti secondo cui  gli italiani debbano contare più dei non italiani; tradotto, vuol dire meno diritti per questi ultimi ma con la pretesa dell’adempimento dei medesimi doveri degli italiani, a meno che non si tratti di  stranieri particolarmente ricchi.

I pilastri che ho in breve richiamato sono alcuni elementi  posti a sostegno della struttura costituzionale sovrastante; se cedono o si indeboliscono si rischia di far crollare tutto il sistema. Auguriamoci quindi che la festa della repubblica sia l’occasione per riflettere anche sulle sue sorti perché, conquistata a caro prezzo ,abbiamo il dovere curarla come il più prezioso dei  beni.

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