È inutile girarci attorno: il 25 aprile è “divisione”. La vittoria della lotta armata per la Liberazione, per abbattere un regime oppressivo e statolatrico, oltre che razzista. Il momento della cacciata dell’oppressore e della partecipazione anche del nostro Paese al ritorno al Diritto internazionale. Anche della chiusura delle orrende parentesi del collaborazionismo nella Shoah e dell’ottusa politica tardo imperialista che, anch’essa, resta macchia indelebile dell’onore della nostra Nazione.
Per dirla con Teresio Olivelli, che il suo amore per la libertà e la democrazia l’ha pagato nel campo di Fossoli, “divisivi per amore”.
Oggi c’è chi continua a parlare di un 25 aprile che mina l’Unità nazionale. Ma dimentica come, con l’amnistia firmata dal comunista Togliatti, siano stati mandati liberi tutti coloro che si erano macchiati di crimini orribili pur di mettere una pietra su un passato tanto sanguinoso e pesante. E per questo non vennero portati alla sbarra per come avevano disonorato la divisa ordinando eccidi e distruzioni, o che da dietro la scrivania ministeriale disponevano vessazioni, soprusi e persino le uccisioni, il confino e le deportazione di chi solo era sospettato di pensarla diversamente. Oppure, ancora, chi su quella scrivania pubblicava indegni fogli per sostenere le diversità razziali.
Ecco perché non si ha diritto di chiedere la “sobrietà” in occasione delle celebrazioni di oggi. E Papa Francesco, la cui famiglia emigrò perché antifascista, lo comprenderà. Così come, ne siamo certi, non sarebbe stato d’accordo con il mettere la sordina a questo giorno con uno strumentale riferimento alla sua scomparsa.
Politica Insieme