Papa Francesco non è mai stato un teologo da scrivania. Il suo cattolicesimo sociale nasce dalla strada, dai barrios di Buenos Aires, dove ha imparato che il dolore e la speranza camminano insieme. Fin dal suo primo affacciarsi al mondo come Pontefice, ha mostrato con gesti e parole che la Chiesa deve stare dalla parte dei poveri. “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri”, disse. Non era uno slogan, ma il cuore del suo apostolato. La dottrina sociale della Chiesa, per lui, non è teoria ma prassi, carne viva. È cura per il fratello, è lotta contro la disuguaglianza, è denuncia dei nuovi idoli del potere e del denaro.

Parole forti e richiami profetici
Nelle sue encicliche e nei suoi documenti, il cattolicesimo sociale è ovunque. Nell’Evangelii Gaudium ha scritto che “l’economia uccide”, denunciando la globalizzazione dell’indifferenza. Nell’Enciclica Laudato si’ ha parlato di “ecologia integrale”, un concetto rivoluzionario che tiene insieme ambiente, giustizia sociale e dignità umana. Fratelli tutti, la sua ultima grande enciclica, è un vero manifesto di solidarietà globale: l’invito ad abbattere i muri, costruire ponti, vivere la fraternità come principio politico, oltre che spirituale. E nelle sue omelie, mai compiacenti, ha chiesto ai governanti di scegliere gli ultimi, di difendere i giovani, di ascoltare il grido della terra e il grido dei poveri.

Il rifiuto della politica di potere
Francesco non ha mai fatto politica in senso stretto, perché la considerava troppo spesso al servizio degli interessi forti. Ma non ha mai smesso di interpellare la coscienza dei politici. Ha chiesto loro “gesti concreti”, non dichiarazioni. Ha invocato leggi giuste, riforme del lavoro, difesa della dignità umana. Ha parlato con franchezza davanti a parlamenti e istituzioni internazionali, richiamando sempre alla responsabilità verso i più deboli. E ha sempre affermato che “la realtà è superiore all’idea”: un principio che esige concretezza, non ideologie.

 La forza della mitezza e del coraggio
In un tempo segnato dalla durezza del linguaggio e dalla chiusura nei confronti del diverso, Papa Francesco ha rilanciato parole dimenticate: tenerezza, misericordia, ascolto. Ma non si è mai tirato indietro davanti alle ingiustizie. Ha denunciato la “cultura dello scarto”, che emargina gli anziani, i migranti, i malati, i poveri. Ha promosso il lavoro come chiave della dignità, ha chiesto nuove politiche per i giovani, ha difeso la vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale. Il suo è stato un magistero radicale nel senso evangelico, capace di unire la fermezza della denuncia alla dolcezza dell’annuncio.

Un’eredità che interpella tutti
Ora che non è più tra noi, resta una grande eredità. Non tanto nei documenti – che pure sono preziosi – ma nel modo in cui ha incarnato il Vangelo. Il cattolicesimo sociale di Papa Francesco è stato questo: fede che si fa giustizia, speranza che si fa fraternità, carità che si fa politica nel senso più alto. Ha ricordato a tutti noi che la Chiesa non è un club spirituale, ma una madre che si prende cura. E che non si può essere cristiani senza prendere sul serio le sofferenze del mondo.

Michele Rutigliano

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