In base alla Costituzione tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. La disposizione è chiarissima: la sovranità spetta al popolo e i partiti sono il principale strumento per garantire la loro rappresentanza.

Ma i partiti sono l’unico strumento della rappresentanza politica? In base al nostro ordinamento si, se non si fa parte di un partito mancano i modi per incidere sulla formazione della volontà statale. Il Parlamento e il Governo possono essere condizionati indirettamente dai mezzi d’informazione, le corporazioni, le lobby, ma in  Parlamento decidono loro, i partiti, almeno formalmente.

Quali partiti? Quelli costituiti oppure anche quelli costituendi, nascituri? Ovvio, ognuno è libero di far nascere i partiti che vuole. Però, mentre i partiti uscenti sono ammessi automaticamente alla competizione, per i nuovi, serve l’attestazione di godere di un qualche seguito popolare nel Paese, come precondizione di idoneità a competere elettoralmente.

Si sono sentite in questi giorni alcune critiche, anche autorevoli, sull’utilità di conservare questi sbarramenti per accedere alla presentazione delle liste. Tuttavia, la necessità di non consentire l’accesso a gruppi e associazioni inesistenti ha un suo fondamento, giustificabile con le stesse regole della democrazia.

Qualche approfondimento merita invece la questione della partecipazione alle elezioni delle minoranze culturali, in quanto formazioni sociali di rango non partitico.

Una norma specifica è prevista soltanto a tutela delle minoranze linguistiche, tuttavia sembra lecito domandarsi, almeno sul piano speculativo, se il ricchissimo mondo associativo italiano non meriti percorsi di accesso differenti e semplificati in altri ambiti.

Ancora una volta il riferimento va all’art. 2 della Costituzione, in base al quale i partiti sono solo una delle formazioni sociali costituzionalmente riconosciute, in un Paese ricco di articolazioni associative, territoriali, economiche, culturali, tutte espressive del pluralismo e delle diversità, che rivendicano canali di partecipazione senza passare attraverso la strettoia partitocratica.

Questa era, vale la pena ricordarla, l’idea avanzata nell’ambito della assemblea Costituente da Amintore Fanfani, che si è tradotta, alla fine, nel compromesso della istituzione del CNEL.

Quel progetto era ed è, ancora di più oggi, non proponibile.

Tuttavia, se i sondaggi confermano che la diserzione  dalla partecipazione al voto il prossimo 25 settembre supererà i livelli del 2018, anche per l’incomprensibile forzatura dell’interruzione del governo Draghi, un qualche confronto sulla crisi della rappresentanza politica dovrà pur essere introdotto nel dibattito preelettorale.

Guardando al di fuori dei nostri confini nazionali, in Germania, ad esempio, un ramo del parlamento è rappresentativo dei Governi dei Länders, non dei partiti. Negli Stati Uniti operano i cosiddetti “Caucus” come incontri formali o informali per sostenere le candidature presidenziali. Le elezioni primarie presidenziali, sempre negli Usa, possono essere aperte a tutti, a prescindere da ogni appartenenza ai partiti. Recentemente la Corte Interamericana dei diritti umani, nel decidere sull’esclusione della partecipazione alle elezioni di alcune asociaciones  prive della natura giuridica di partito, ha sentenziato che i diritti politico-elettorali sono di natura duale, cioè individuale e collettiva, pertanto, l’esclusione delle associazioni non partitiche configura una restrizione indebita all’esercizio dei diritti politici.

Mi pongo una domanda. La proposizione di queste questioni è di destra o di sinistra? L’unica risposta documentata è che questo tipo di problemi è stato, ed è ancora oggi, prevalente patrimonio culturale dei cattolici democratici, per i quali valgono i principi del pluralismo e dell’umanesimo cristiano, che sono a fondamento sia dei valori di destra che di sinistra.

Un’ulteriore attestazione di diritti collettivi si rinviene nella sentenza della Corte Interamericana Yatama vs Nicaragua del 2005. Qui, d’innanzi alla decisione preclusiva della partecipazione alle elezioni ai danni di alcune asociaciones de suscripción popular, perché ritenute prive della natura giuridica di partiti politici, la Corte, dopo aver riconosciuto la propria competenza sul presupposto che i derechos politicos electorales sono diritti umani fondamentali, ha sentenziato che i diritti politico-elettorali sono di natura duale, cioè individuale e collettiva, pertanto, l’esclusione delle associazioni non partitiche dalle consultazioni configura una restrizione indebita all’esercizio dei diritti politici.

Guido Guidi

 

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